Negli
articoli precedenti abbiamo esplorato la relazione tra l’eccesso di
sollecitazioni, derivanti dall’allenamento o da altri stimoli, e la tendenza a
Sindrome da Sovrallenamento, infortuni da sovraccarico e intolleranza all’allenamento
acquisita.
In tutti i casi abbiamo visto che una parte
importante della soluzione consiste nella prevenzione.
È di fatto
importante rimanere in una sorta di zona ideale in cui l’attività è sufficiente
a generare gli stimoli necessari, ma non porta il fisico alla stanchezza
cronica, in cui recupero e riposo sono adeguati a consentire miglioramenti in
forza, velocità e resistenza, ma non portano a de-allenamento.
Storia
Al giorno
d’oggi la maggior parte degli atleti sa che l’osservazione della
frequenza cardiaca a riposo è un modo di monitorare la prestazione, il
recupero e la salute. Pensate che la prima descrizione scritta della frequenza
cardiaca, misurata al polso, risale alle opere di Erofilo, medico e
scienziato dell’antica Grecia (335 AC – 280 AC), le cui osservazioni furono
sviluppate dal medico greco-romano Galeno di Pergamo (131 –
200), che scrisse almeno diciotto libri sulle pulsazioni, incluso otto trattati
su come formulare diagnosi e prognosi di varie malattie. I suoi insegnamenti
dominarono la pratica medica per quasi sedici secoli, attraverso Medioevo e
Rinascimento, fino all’età moderna; fu il primo a riportare gli effetti
dell’esercizio fisico sulla frequenza cardiaca. Ad esempio, in una delle sue
opere dedicata alle pulsazioni afferma “L’esercizio – finché praticato
con moderazione – rende la pulsazione vigorosa, grande, veloce e frequente;
tanto esercizio fisico, in eccesso rispetto alle capacità dell’individuo, rende
al contrario la pulsazione piccola, debole, rapida ed estremamente frequente.”
Quest’ultima frase contiene una verità, cui molti atleti moderni farebbero bene
a prestare attenzione.
Verso la fine
del XVII secolo, cronometri più precisi permisero di misurare meglio la
frequenza cardiaca. Si dice che sia stato il medico inglese John Floyer (1649-1734)
ad inventare un orologio portatile con la lancetta dei secondi ed un pulsante
che permetteva di tabulare pulsazioni e respirazione in una varietà di
condizioni; egli pubblicò le sue rilevazioni in due volumi, diventando un
sostenitore del fatto che “si può conoscere il battito naturale e le
variazioni di ritmo causate dalle malattie”. Con il miglioramento dei
cronometri, si arrivò presto a descrivere le fluttuazioni delle pulsazioni
arteriose e nel 1733 il reverendo John Hales (1677-1761)
riportò che la durata degli intervalli fra un battito e l’altro variava durante
un ciclo respiratorio.
In tempi più
moderni e, in particolare, verso la fine del ventesimo secolo,
ulteriori sviluppi nella misura e dispositivi a disposizione hanno portato a
osservazioni ancora più accurate sulla frequenza cardiaca e sulle sue
variazioni; questo a portato a definire la variabilità della frequenza
cardiaca (HRV = Heart Rate Variability) come uno strumento diagnostico
per la valutazione delle cardiopatie e la cura degli infartuati. Negli
ultimi anni, inoltre, dispositivi di misura che prima erano grandi,
complessi e di difficile lettura, sono diventati molto più economici ed
accessibili al grande pubblico anche grazie alle tecnologie Bluetooth e
ad alcune “app” di facile utilizzo per smartphone e tablet.
Vediamo cos’è
esattamente questa variabilità della frequenza (HRV) e come può rivelarsi un
importante strumento di monitoraggio per gli atleti.
Sistema
nervoso simpatico e parasimpatico: un equilibrio dinamico
Da un punto di
vista fisiologico, sappiamo che il battito cardiaco accelera
durante l’esercizio, perché il cuore deve pompare più forte per consegnare
ossigeno ai muscoli, e che rallenta quando terminiamo l’attività. Queste
modulazioni sono controllate dal sistema nervoso autonomo (SNA),
all’interno del quale distinguiamo due sottosistemi che influenzano
direttamente la frequenza: il sistema nervoso simpatico (SNS)
ed il sistema nervoso parasimpatico (SNP). L’SNS è conosciuto
come “combatti o scappa” (fight or flight, in inglese), accelera i
battiti ed è attivato quando dobbiamo difenderci, mentalmente o fisicamente,
oppure effettuare attività fisica consistente; al contrario, l’SNP è invece il
meccanismo “riposa e ripara”, attivato quando ci rilassiamo, dormiamo o in
generale recuperiamo, essendo attivato anche da meditazione, respirazione
profonda ed esercizi di yoga leggeri.
E’ importante
notare che nessuno dei due sistemi è più importante dell’altro, ma lo
stato fisiologico ideale prevede che essi collaborino armonicamente: l’SNS
ci rende pronti a importanti incontri di lavoro, ci fa concentrare prima di una
sessione di allenamento intensa o contribuisce alla prestazione durante una
gara, mentrel’SNP ci assicura che riposiamo correttamente, che il recupero
mentale e muscolare sia il più completo possibile e che siamo il più possibile
a nostro agio. Le cose si complicano quando uno dei due meccanismi diventa
predominante sull’altro per un periodo prolungato: l’esempio più classico, un
po’ esagerato, è quello dell’atleta di endurance che eccede con gli allenamenti
ad alta intensità senza riposare sufficientemente. In questo caso, l’SNS
continuerebbe in uno stato di prevalenza dovuto all’eccessivo stimolo allenante
che, se protratto per troppo tempo, porterebbe il fisico ad uno stato di
affaticamento in cui, paradossalmente il sistema parasimatico SNP prenderebbe
il sopravvento, con conseguente letargia e impossibilità ad allenarsi.
Considerato
tutto quanto, è chiaro che sarebbe un valido alleato uno strumento che ci
mostrasse se il nostro corpo è in uno stato di equilibrio. Nel passato gli
atleti hanno misurato la propria frequenza cardiaca appena svegli per sapere
quanto erano pronti a ricevere gli stimoli allenanti e, sicuramente, un battito
a riposo eccessivamente rapido può essere un campanello di allarme. Tuttavia,
uno studio effettuato da università francesi e svizzere (Relation
between heart rate variability and training load in middle-distance runners.
Med. & Sci. in Sports and Exercise: January 2000) mostra
come dopo un periodo di tre settimane di intenso allenamento, la frequenza
cardiaca di un gruppo di runner è aumentata in media solo del 9% (3,74 battiti
al minuto), mente la variablità della frequenza (HRV) ha mostrato una
variazione media del 40%; le conclusioni dello studio furono che “l’HRV
sembra essere uno strumento migliore della frequenza cardiaca a riposo, per
valutare lo stato di affaticamento fisico cumulato, poiché rende più visibili i
cambiamenti indotti nell’attività del sistema nervoso autonomo. Questi
risultati possono essere rilevanti per ottimizzare i piani di allenamento
individuali”.
HRV: cos’è
L’HRV misura
le piccole, quasi impercettibili, differenze nel tempo che intercorre tra un battito
e il seguente. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare,
maggiore è questa variabilità, maggiore è lo stato di salute del fisico e
l’equilibrio fra sisema nervoso simpatico e parasimpatico. Normalmente, l’HRV è
basata sulla misura protratta per due o tre minuti di queste piccole
differenze, che vengono quantificate in un parametro numerico con un algoritmo
di calcolo particolare (RMSSD = “root mean square of successive
differences”), che è poi riportato su scala logaritmica, dando luogo ad un valore
che va circa fino a 100. Ci sono due importanti valori di HRV da
considerare: uno è quello giornaliero, l’altro quello di
base, che si determina nel tempo e che deve essere il più alto possibile;
non è un valore predefinito, lo si può migliorare gradualmente nel tempo,
alternando adeguatamente allenamento e recupero, fino ad arrivare ad un massimo
determinato dalla genetica. Di converso, può anche diminuire, se allenamento o
recupero non sono sufficienti. Dall’altro lato, l’HRV giornaliero avrà variazioni
molto maggiori a seconda dei cicli di preparazione atletica; la maggior
parte degli applicativi utilizza un codice colore a semaforo e ci
permette di decidere se è opportuno intraprendere sessioni di allenamento
intense (luce verde), oppure se è meglio tenere un approccio più conservativo
(luce gialla), o ancora se è necessario un giorno di riposo (luce rossa). C’è
da dire che per un atleta non è necessariamente un bene avere sempre
luce verde, perché potrebbe significare che gli stimoli allenanti non sono
sufficienti a portare miglioramenti; è meglio avere una maggioranza di segni
verdi, inframmezzati da un po’ di gialli, ad indicare che l’attività è stata
sufficientemente intensa. Va anche considerato che il parametro di HRV è
anche influenzato da altri elementi della vita quotidiana quali la nutrizione,
l’idratazione, il sonno e lo stato emotivo.
Monitorando le
fluttuazioni giornaliere e la tendenza della baseline, possiamo cercare di
avere miglioramenti atletici graduali senza il rischio di sovra/sottoallenamento;
se vedessimo un baseline stabile, o addirittura in calo, al contrario
dovremmo allarmarci.
C’è da
considerare anche che il valore di base varia in base allo schema delle
pulsazioni di una persona e con l’età; mentre per una persona di 20-30 anni un
range normale spazia fra 60 (fisico non molto allenato) e 90 (fisico ben
allenato), per un uomo di circa 60 anni un valore di 55 sarebbe molto buono. In
definitiva il valore del parametro restituito da un’applicazione software non è
da considerare in assoluto oppure riferito al valore di altre persone, a causa
di queste variabilità, tuttavia le variazioni nel tempo possono darci
indicazioni di valore nel singolo atleta.
HRV: come si usa
Fra le
numerose APP, ci sono quelle gratuite (Elite HRVbasic)
e quelle a pagamento (Bioforce HRV, Elite HRV (team), Inner Balance, ithlete, Sweet Beat,
HRV4Training); ognuna ha requisiti tecnologici diversi, può essere
stata sviluppata per smartphone o tablet e richiedere o meno un sensore esterno
come una fascia cardio bluetooth. Ultimamente, alcune app più nuove utilizzano
la fotocamera del telefono come strumento di misura, anche alla luce di
ricerche scientifiche in proposito (Extraction of Heart Rate Variability
from Smartphone Photoplethysmograms, Rong-Chao Peng, Xiao-Lin Zhou,
Wan-Hua Lin, Yuan-Ting Zhang. 2015); HRV4 Training è una di
queste e il suo creatore, il Dott. Marco Altini, ha appena pubblicato un
articoloscientifico al riguardo (Comparison of heart rate variability
recording with smart phone photoplethysmographic, Polar H7 chest strap
and electrocardiogram methods, D.J. Plews, B. Scott, M.
Altini, M. Wood, A.E. Kilding and P.B. Laursen, International
Journal of Sports Physiology and Performance, 2017)
Una volta che abbiamo definito uno strumento
adatto o un’app, vediamo quando effettuare la misura. Pare che sia
preferibile farlo al mattino presto, appena svegli; infatti, a causa del ritmo
circadiano e delle fluttuazioni ormonali, una lettura effettuata durante la
giornata potrebbe dare risultati diversi a seconda del momento. Si può anche
discutere se sia meglio fare la misura da sdraiati, in piedi o seduti, con
preferenza per l’ultima di queste; la posizione supina pare infatti favorire il
sistema nervoso parasimpatico (e quindi rilassamento), mentre quella in piedi
il sistema simpatico (e quindi attivazione), con il risultato di falsare
potenzialmente la lettura della variabilità cardiaca. In ogni caso, è
importante mantenere le stesse condizioni in tutte le misurazioni, le quali
richiedono normalmente due o tre minuti, più il tempo necessario ad inserire
alcuni dati, come la qualità e le ore di sonno e di allenamento del giorno
precedente.
I grafici
rappresentati dai vari sistemi o APP possono presentare i dati in forma
diversa. A titolo di esempio, presentiamo degli screenshot effettuati con
l’app Elite HRV. Il soggetto, in questione [l’autore –
NdR] presenta un valore basale di HRV di 54, per cui una misura puntuale
di 55 indica una momentanea prevalenza del sistema nervoso parasimpatico, ma
sempre rimanendo in zona “verde”, quindi adatta ad allenarsi. Se la lettura
fosse ad esempio 57, l’indicazione colore sarebbe stata “giallo”, associata
probabilmente ad un momento di recupero e ricostruzione del fisico, con
suggerimento di riposare o di effettuare esercizio solo a bassa intensità.
Analogamente, un parametro di HRV giornaliero di 51, avrebbe portato ad
un’indicazione di semaforo giallo, per eccessiva attivazione del sistema
nervoso simpatico, sintomo di affaticamento, con indicazione di riposo.
Risulta
intuitivo capire come una misurazione effettuata per alcune settimane
può dare un’idea della tendenza dell’HRV e di come l’allenamento influenzi
l’organismo. In figura si trova un esempio di grafico che mostra un
orizzonte temporale di dieci giorni: la linea blu indica il parametro di HRV,
mentre le barre sono un’indice di quanto il soggetto è pronto ad allenarsi quel
giorno. Si osserva come nel secondo, terzo e quarto giorno l’indicazione sia
sempre la stessa (colore giallo = riposare), tuttavia a fronte di letture
diverse del parametro di HRV: alto nel secondo e nel quarto giorno, basso nel
terzo. Molto probabilmente il soggetto nel secondo giorno, in cui partiva da un
HRV alta, ha esagerato con l’attività aerobica, producendo un’attivazione
eccessiva del SNS invece di riportare l’organismo all’equilibrio (omeostasi).
Nei giorni successivi, le variazioni di HRV sono più contenute, indicando un
bilanciamento più efficace fra SNS e SNP.
In
conclusione, monitorare la variabilità della frequenza cardiaca (HRV) pare
proprio un metodo efficace, semplice ed economico per ottenere il massimo dal
proprio allenamento e, al contempo, salvaguardare la salute. Sicuramente questo
è favorito dalla velocità della misura e dalle indicazioni biometriche
immediate.