venerdì 30 settembre 2016

CIRCUIT DI CAMELBAK



Circuit di CamelBak, oramai famoso nel mondo trail per la sua compattezza e praticità. Ma per chi non lo conoscesse ancora, voglio proporlo come supporto tecnico nelle vostre scorribande montane.

Estetica: Circuit esteticamente è molto bello coi suoi colori accessi. La grafica è parte integrante dello zaino che colpisce al volo. La versione da me testata, nel suo verde acceso, grigio e nero, può essere tranquillamente abbinata a qualsiasi tipo di abbigliamento tecnico. L’azienda ha prestato molta attenzione ai dettagli, dove spesso viene riportato il nome dello zaino.


Praticità: facili gli accessi a tutti gli scomparti proposti dall’azienda, con la possibilità di trasportare il proprio smart-phone, nell’apposito scomparto, capiente a sufficienza a contenere anche eventuali piccole riserve alimentari come barrette o gel. Grazie alle sue tasche sugli spallacci, si possono trasportare facilmente dei supporti come antivento ultra leggeri o altri materiali utili all’allenamento.


Sacca idrica: beh la Camel Bak è famosa per le sue sacche idriche, utilizzate in moltissime attività dell’outdoor, trekking e MTB. Conosciamo tutti le caratteristiche di robustezza e qualità dei materiali impiegati. Si può considerare l’azienda leader in questo tipo di sviluppo di materiali per il trasporto dei liquidi alimentari. Non rilascia nessun cattivo gusto all’acqua o altro elemento. Nel Circuit, è stata introdotta nel vano posteriore dello zaino una sacca da 1,5 lt, con cannula ancorata ad uno degli spallacci. Facile il rifornimento grazie al grande tappo a vite, con chiusura ermetica. Alta qualità per questo supporto.


Capienza: il Circuit non permette di trasportare grandi quantità di materiale tecnico, mi sento di consigliarlo per allenamenti o gare o tappe non superiori ai 30/45 km. La sacca idrica, se caricata al massimo della sua capienza, lascia poco spazio ad altri elementi. Sugli spallacci è possibile trasportare solamente delle piccole borracce, il Circuit è nato per delle finalità ben precise: chilometraggi limitati e trasporto dello stretto indispensabile. Possiamo tranquillamente considerarlo come “minimalista”.

Vestibilità: Il Circuit è stato assemblato con materiali di buona qualità. Quando indossato, permette una buona traspirabilità, eliminando possibili abrasioni nelle zone dove lo zaino poggia, quindi schiena e spalle e petto. La rete, che poggia sulla schiena, permette una buona evaporazione dell’accumulo del sudore. I fissaggi nella parte anteriore, che bloccano gli spallacci eliminando le oscillazioni dello stesso, sono a chiusura rapida e regolabili.


Conclusioni: consigliato vivamente per tutti gli appassionati . Questo modello, oramai confermato sul mercato dei materiali tecnici utili per il trailrunning già da un pò di tempo, sarà sicuramente un fedele compagno di viaggio. Ha tutte le caratteristiche per soddisfare il trailer più esigente con caratteristiche da minimalista. In attesa delle novità 2017, che vi posso assicurare soddisfaranno molti di noi, godetevi il vostro Circuit. La Camelbak è diventata oramai fra le Aziende leader per il trail.

Andrea Fergola
Istruttore Tecnico Trail Running, responsabile portale trailrunning.it








mercoledì 28 settembre 2016

SULLE TRACCE DI ROMMEL, IN UNA CORSA NEL CUORE DELLE DOLOMITI FRIULANE: LA ROMMEL TRAIL




È alla prima edizione ma non può che far parlare di sé il Rommel Trail, la gara che si ispira al percorso che fece Erwin Rommel, generale nazista, nel 1917. Il trail si svolgerà in notturna a partire dalla mezzanotte di sabato 1 ottobre nello scenario delle Dolomiti friulane. Ma andiamo con ordine.

Prima Guerra Mondiale

La ERT Rommel Trail è una delle celebrazioni che si tengono nel quadriennio di rievocazione della Prima Guerra Mondiale (1915-1918) e fa rifermento alla battaglia di Forcella Clautana combattuta il 7 novembre del 1917. Qui si scontrarono il fronte italiano, costituito dal XVIII° reparto d’assalto, la 34°- 35° e 36° compagnia alpina del battaglione Val Susa, due compagnie di bersaglieri, e quello tedesco, la Jager Division e un Battaglione di Shutzen. Alla guida di quest’ultimo gruppo c’era un giovane e allora sconosciuto tenente Erwin Rommel.

Perché Rommel

Il militare tedesco diventò poi celebre durante la battaglia di Caporetto e nell’era nazista assurse al ruolo di stratega militare d’eccellenza, combattendo con una Panzer-Division in Francia, comandando l’Afrikakorps in Nordafrica e coordinando la difesa del Vallo Atlantico per arginare l’invasione degli Alleati nel 1944. Soprannominato “la volpe del deserto” (la gara è anche chiamata “The night of the desert fox”), Rommel viene considerato tuttora, anche dagli avversari, il più grande genio militare della Seconda Guerra Mondiale. E la sua figura, anche grazie alla partecipazione al (fallito) golpe contro Hitler del luglio 1944 (il dittatore tedesco lo obbligò a suicidarsi per salvare la propria famiglia dal massacro) non viene associata a quelle dei peggiori criminali nazisti.

La gara

Non si tratta di una celebrazione di un generale nazista. La Rommel Trail vuole ricordare la tragica battaglia in chiave moderna, sottolineando il legame dei due popoli che 100 anni fa si affrontarono armi in pugno. Inoltre c’è l’intento di promuovere e valorizzare questi magnifici luoghi selvaggi. Il trail si svolge su un percorso di piste forestali, strade e sentieri di 64,5 chilometri, con circa 3000 metri di dislivello positivo. È (più o meno) la via che Rommel fece percorrere alle sue truppe: si parte da Vito d’Asio (frazione Pielungo) e si arriva a Claut, attraversando il territorio di sei comuni: Vito d’Asio, Clauzetto, Meduno, Tramonti di sotto, Tramonti di Sopra e Claut. Gran parte della gara si tiene all’interno del Parco delle Dolomiti Friulane, patrimonio dell’Umanità UNESCO nonché una zona tra la più selvagge d’Europa.

L’arrivo è previsto tra le 7 e le 9 di mattina e a contorno della manifestazione ci saranno stand, musica e ristorazione.

Fonte: Sportoutdoor24



PER CHI AMA IL MINIMALISMO


TEST MATERIALI: VIBRAM FIVE FINGERS SPEED BLACK WHITE BLACK

Arrivati a Livigno dopo quattro ore di viaggio in moto ci siamo riposati e rinfrescati (anche perchè erano le 13:30 e i negozi erano ancora chiusi) dopodichè a capofitto alla ricerca dei rivenditori Five Fingers che a Brescia sono solo fantascienza.
Al primo negozio ci fermiamo, entriamo e alla mia fatidica parola “Fivefingers” la commessa ci indica subito la via per il piano inferiore dove c’era una  buona scelta dei modelli più recenti diVibram.


Dopo una rapida occhiata scelgo subito le Speed in versione nera e comincio la mia avventura nel calzarle. In effetti la prima volta che le calzi sono un pò  “scorbutiche” per la difficolta nell’ infilare le dita nei singoli alloggi,  difficoltà che è subito svanita nelle volte successive.
La prima sensazione è splendida: ti senti con le ali ai piedi sia per il peso che è veramente irrisorio che per la sensazione di libertà che ti trasmette  questa scarpa,infatti non solo le dita risultano libere ma la flessibilità della  suola e l’ assenza di intersuola e qualunque altro impedimento permettono di  muoversi quasi come da scalzi.

Giorno 1 – Una giornata con le Five Fingers
Un giorno di riposo e rieccomi con ai piedi i miei due “guantini”.  Come da istruzioni ricevute da chi già le ha e le usa ho deciso di prenderci  il piede un pò alla volta per evitare infortuni da principiante così ho  cominciato andando al lavoro con le ff.Qualche breve camminata e stare in pedi  e a fine giornata ho sentito una leggera sensazione di sforzo ai polpacci che si  è subito risolta con una bella dormita e così anche per i due giorni successivi.  Da segnalare che da un punto di vista puramente estetico si sono fatte notare a  fatica forse per il modello che ho scelto (Speed nere) molto simile alla linea  di una scarpa comune.

Giorno 2 – Di corsa
Finalmente la prova del nove: parto molto lentamente un pò per paura un pò per  devozione e piano piano comincio a scaldarmi. Sento i muscoli dei polpacci  che cominciano a “tirare” ma questa sensazione è inizialmente velata dal  piacere di sentire il piede che “fa il suo lavoro”,un piacevole appoggio  morbido sull’ asfalto quasi come camminare in punta di piedi (anche se non ero in punta di piedi) per non far sentire i propri passi.
Immerso nel puro piacere a un certo punto mi risveglio e mi accorgo che era troppo tardi: 20 minuti di corsa e ancora 2km mi separavano da casa, avevo  già esagerato, in effetti il ritorno ha comiciato piano piano a rivelarsi un piccolo calvario ma soprattutto i 3 giorni successivi a causa dei  dolori ai polpacci. Fortunatamente niente di grave solo un pò di affaticamento. Comunque vista l’ esperienza ho deciso di seguire in maniera più diligente i  consigli reperiti in rete da vari esperti e utilizzatori di Five Fingers.

In Montagna


E’ stata una piacevole sorpresa non cercata ma capitata visto che avevo dimenticato le Salomon XA pro 3D e le uniche scarpe disponibile erano loro le 5F.
Dopo un inizio di sentiero un pò a rilento per paura di eventuali infortuni  da scarsa protezione,piano piano ci ho preso la mano o meglio il piede e il percorso si è rivelato decisamente piacevole per la naturalezza con  la quale i miei piedi cercavano anche i più piccoli appoggi e soprattutto  la stabilità e la sicurezza nella camminata che mi viene trasmessa  direttamente dalla pianta del piede. Penso che sia stato un ottimo  esercizio che aumenta indubbiamente la propriocettvità e nonostante la  mancanza di evidenti protezioni al piede ma soprattutto alle caviglie  con queste scarpe la tendenza è quella della conservazione o meglio  la “paura” dell’ infortunio e le migliorate capacità di contatto con  il terreno ti spingono a evitare i pericoli invece che cercare di  proteggerti da essi con degli “scudi”.

Consigli d’uso
I consigli d’uso sono i soliti come per ogni altro inizio di attività sportiva  anche se in questo caso si raccomanda di seguirli anche a chi è già un abituè  della corsa e lo dico per esperienza oltre che per consiglio ricevuto fidatevi!  Si raccomanda la massima gradualità nel cominciare e mi raccomando di non  strafare le prime volte anche se correte già per decine di km, infatti il nuovo gesto atletico vi porterà a utilizzare muscoli e tendini che normalmente  sfruttate in minima parte e in particolare i muscoli dei polpacci, le caviglie  e i piedi stessi che saranno sollecitati in modo molto diverso (Io ho corso per 30min.  la prima volta e i giorni successivi sono stati una vera agonia).  Per le prime due o tre uscite non superate i 15 – 20min. e correte come se fosse  un semplice riscaldamento, poi piano piano aumentate tempi e chilometraggi fino  a raggiungere in qualche settimana (in genere 2 o 3) la piena padronanza della  nuova modalità di corsa.


Bene, siete tutti pronti per scaricare la guida pratica all’utilizzo del Vibram Five Fingers


Fonte: InfinityRun


martedì 27 settembre 2016

LA SICUREZZA DEL TRAILER


Prima che iniziate a leggere questo articolo pubblicato sul portale Trailrunning.it, volevo fare solo una riflessione.

Quando si va in montagna per qualsiasi motivo, per una gara di trail, per un trekking, per una ascensione alpinistica, per una gita di scialpinismo, dobbiamo sempre considerare l'imprevisto che possa metterci in difficoltà.

Detto questo sarebbe auspicabile che nel nostro sport ogni'uno mettesse al primo posto la propria sicurezza.
Il materiale adeguato necessario per affrontare condizioni meteo sfavorevoli in montagna dovrebbe essere sempre nel nostro zaino, senza che qualcuno lo debba imporre nel regolamento della gara.

Salire a tremila metri in pantaloncini corti e canottiera sicuramente fa molto "fico" e molto skayrunner, ma pensate se cambia improvvisamente il meteo, e posso assicurarvi che in alta montagna questo succede spesso, oppure vi slogate una caviglia e il recupero diviene difficoltoso e lungo perchè ci troviamo in una zona particolarmente impervia e poco accessibile ai soccorsi.... come la mettiamo!!!

Forse vale la pena meditare bene sulla questione e non pensare sempre di affidarci all'organizzazione, i primi a dover essere responsabili della nostra incolumità siamo noi stessi!!!


Marini Massimo
Amatori Atletica Chirignago
_________________________________________________________________________



Quando si parla di sicurezza nelle gare di trail, si aprono veramente dei dibattiti molto accesi. Ma chi per primo dovrebbe garantire la sicurezza nelle manifestazioni sportive ? Chi ha veramente la responsabilità in certi eventi, sia sportivi e non ?

Abbiamo già trattato sul nostro portale questo argomento [qui], cercando di rendervi edotti su alcune dinamiche che disciplinano le eventuali responsabilità e in Italia sono tantissime per un organizzatore, non c’è manleva che tenga.

Però vorrei affrontarla dall’altro punto di vista, cioè quella del partecipante di un evento trail. Vi è mai capitato di chiedervi se il trailrunning sia veramente una disciplina estrema e come tale nasconda delle insidie di vario tipo?

Che percezione avete del pericolo? Molti sfidano crinali ad altissima quota senza problemi, altri potrebbero trovarsi in difficoltà nell’attraversare un ponte. Quindi come natura umana ci insegna, abbiamo davanti moltissime variabili di approccio.

Sappiamo che il trailrunning non è propriamente una disciplina a rischio zero, dei pericoli ci sono eccome, come per esempio nel transitare in punti esposti, affrontare una tempesta magari di notte, oppure correre per molti chilometri sotto un intensa nevicata, oppure ancora, attraversare un deserto ad altissima temperatura, senza contare il fondo sconnesso, con possibilità d’inciampo rischiando di procurarsi distorsioni o addirittura fratture.

Beh letto così non è che ci stia facendo una grande pubblicità al movimento…ma vi siete mai chiesti fino a che punto siete disposti a spingervi, fino a quanto il vostro spirito trail vi possa portare “oltre” ?

Il fascino del rischio è insito in noi, è un bisogno ancestrale, dove la dinamica della prova sfidante ci infonde gratificazione, è un continuo mettersi alla prova per capire se esistiamo veramente, o per avere sempre delle conferme.

Bisognerebbe capire se tutto ciò sia ben chiaro ! Lanciandosi in avventure di trail, non si può dare tutto per scontato, le difficoltà sono moltissime e bisogna essere in grado di gestirle, sempre e comunque ed in ogni situazione, partendo dal presupposto che non ritroveremo le comodità della vita quotidiana e neppure le sicurezze delle nostre case, qui bisogna rendersi conto che tutto ciò che facciamo è perchè lo vogliamo e lo stiamo cercando, l’organizzatore non ha colpe sulla nostra inesperienza o negligenza.

Lasciamoci pure affascinare da lunghe distanze, ma partiamo con un bagaglio di esperienze maturato in manifestazioni così dette “minori” che di “minore” non hanno nulla, è solo una questione di km, anche il un mini trail è potenzialmente pericoloso.

Assunzione delle responsabilità e del rischio, non facciamo ricadere su altri la nostra inesperienza. Sappiamo benissimo che il trail comporta dei rischi, come del resto gli organizzatori devono avere il coraggio di sospendere la gara se non esistono più le condizioni meteo per continuarla… tutto quello che rimane è  puro divertimento !

Andrea Fergola

Istruttore Tecnico Trail Running, responsabile portale trailrunning.it 







ALLENAMENTO SPECIFICO PER LA MONTAGNA: IL FARTLEK A TRIANGOLO



Nell’ambito della corsa in montagna, ma la cosa potrebbe essere estesa in parte anche allo skyrunning e al trail, esistono diverse scuole di pensiero e la diatriba sull’allenamento o meno della discesa, rimane aperta.

Ad esempio Lucio Fregona era solito effettuare allenamenti specifici sulla discesa percorrendo tratti molto ripidi a velocità elevatissime.

Una tipologia di allenamento che serve per allenare sia la salita che la discesa e, conseguentemente abitua il fisico ai cambi di pendenza, è il “ fartlek a triangolo”.

L’ideale è riuscire a ricavarsi un anello di 3/4km con tratti di uguale o simile lunghezza.

Ipotizziamo 1km salita - 1km discesa - 1km raccordo in piano. Chi non disponesse di una simile opzione potrebbe utilizzare lo stesso tratto per correre sia salita che discesa trovando ai piedi di questa un anello di circa 1km o nella peggiore delle ipotesi andata e ritorno in piano per un totale di 1km.

È ovvio che la lunghezza dei tratti di salita, discesa e piano, possono essere adattati alle proprie esigenze determinate dalla gara che si sta preparando.

Uno degli obiettivi dell’allenamento, è riuscire ad effettuare ad elevata velocità dei tratti in discesa, senza che questi siano troppo traumatici (proprio per la ridotta distanza percorsa) ed essere in grado, successivamente, di riprendere la salita senza troppa difficoltà.

Dopo il riscaldamento, almeno 20’ di corsa lenta e allunghi, si inizia con il percorso.

Lo svolgimento è semplice: si tratta di alternare ogni volta  ad un tratto veloce, uno di recupero, comunque non troppo lento diciamo un medio-lento.

Partiamo quindi con il primo tratto in salita veloce, recuperiamo scendendo lentamente lungo il secondo km e concludiamo il nostro circuito con il tratto in piano a ritmo di fondo veloce.

Il secondo giro sarà per forza di cose più “facile”; la salita verrà effettuata medio-lenta mentre la seconda parte in discesa veloce e la terza parte in piano ancora medio lenta.

Il tutto andrà ripetuto più volte a seconda del grado di preparazione e del tipo di gara che si vuole preparare. 




domenica 25 settembre 2016

STRETCHING E PERFORMANCE: MEDICINA BASATA SULLE EVIDENZE O MEDICINA BASATA SULLE OPINIONI ?



Lo stretching funziona davvero nel ridurre il dolore muscolare dopo l’esercizio fisico? L’ultimo articolo della Speciale Rubrica dedicata alle Evidenze Scientifiche nello Sport affronta uno dei temi più discussi in ambito sportivo.

Quella dello stretching è una pratica molto comune tra gli sportivi, in generale di tutte le discipline e in particolare di quelle che richiedono un’elevata elasticità motoria.
Molti atleti e addetti ai lavori (preparatori atletici in primis) suggeriscono “l’allungamento muscolare” prima o dopo l’attività fisica per prevenire gli infortuni, ridurre i dolori muscolari post-allenamento o migliorare la performance.

Ma è possibile affermare che questa pratica sia davvero utile?
Per dare una risposta al quesito clinico, come per altri quesiti in campo sanitario, sono possibili tre strade diverse:
  1. affidarsi al parere “degli esperti”, cioè al pensiero e alla conoscenza di chi “dovrebbe saperne” in merito
  2. fare come fanno tutti o come si è sempre fatto (quindi affidarsi all’esperienza)
  3. affidarsi ai principi della Medicina Basata sulle Prove di Efficacia, che è il risultato delle migliori evidenze scientifiche disponibili al momento (studi scientifici di buona qualità provenienti dalla ricerca) e unitamente all’esperienza del clinico tiene in considerazione anche i valori del paziente.
Se ci affidassimo soltanto ai pareri degli esperti, rischieremmo di ottenere delle informazioni parziali e molto probabilmente non aggiornate: ogni anno vengono pubblicati oltre 3 milioni di articoli da un numero non precisamente quantificabile di riviste scientifiche (probabilmente superiore al milione). E’ evidente come sia poco probabile immaginare che la sola esperienza clinica e formativa dei singoli “esperti” possa riuscire ad essere costantemente aggiornata sui temi sanitari che ci si trova ad affrontare, per cui il giudizio clinico, da solo, non può ritenersi sufficiente.

Di contro, se il paziente agisse basandosi soltanto sulle proprie convinzioni o sul “sentire comune”, non avrebbe alcuna garanzia di imparzialità e di obiettività scientifica. Nelle decisioni in campo sanitario è grave la condotta dei tecnici e dei professionisti quando è basata unicamente sul sapere comune e sulle consuete abitudini.
Howard Haggard, nella “Storia dell’errore umano”, nel 1941 affermava nel capitolo “L’errore in medicina” come “l’errore più persistente in questo campo sia la tendenza ad accettare le opinioni correnti come verità definitive”.

Per citare un importante ricercatore italiano, Alessandro Liberati, presidente fino alla sua morte del Centro Cochrane Italiano“i medici hanno sempre teso a considerare il proprio officio art-based anziché science-based. E così molto più dell’arte potè l’arbitrio. Per secoli, in pratica sino alla metà del Novecento” .
La metodologia della Medicina Basata sulle Prove di Efficacia, nata ufficialmente nel 1992 con la pubblicazione del primo editoriale su un’importante rivista americana, si prefigge invece lo scopo di sopperire, tramite l’integrazione della ricerca, dell’esperienza e dei valori del paziente, alle carenze dell’approccio che tradizionalmente è stato adottato in medicina per rispondere ai quesiti clinici.

In sostanza una medicina basata sulle prove (Evidence-Based), piuttosto che sulle opinioni (Opinion-Based).

Dovendo rispondere alla domanda iniziale, se lo stretching sia davvero efficace del ridurre i dolori muscolari dopo l’attività sportiva, potrei parlare a titolo personale sulla base della mia esperienza clinica di fisioterapista e sportiva di ciclista e runner, oppure affidarmi ai “risultati” ottenuti con i pazienti e ai loro racconti. Il risultato sarebbe però del tutto autoreferenziale e fortemente influenzato proprio da quell’ “arbitrio” cui faceva riferimento Liberati.

Per fornire una risposta imparziale a chi chiede se lo stretching “funzioni o meno” bisognerebbe innanzitutto rispondere con quello che attualmente sostiene la comunità scientifica, analizzando le ricerche più aggiornate e di elevata qualità, utilizzate in modo coscienzioso e giudizioso, integrandole con l’esperienza professionale del clinico (soprattutto laddove la ricerca mostra ancora dei limiti) e con le aspettative e i valori del paziente (atleta in questo caso).

Evidenze scientifiche sullo stretching 
Da una Revisione Sistematica della Letteratura Cochrane* del 201l spicca l’analisi di 12 studi clinici che hanno valutato l’effetto dello stretching prima, dopo, o prima e dopo l’attività fisica.
Tale analisi ha evidenziato come lo stretching non abbia alcun effetto clinicamente rilevante, o effetti molto limitati, sul dolore muscolare che insorge nella settimana in cui si pratica sport.
Proviamo quindi a rispondere ad alcuni quesiti molto comuni sulla base dei risultati emersi.

  • Lo Stretching migliora la performance ?

Secondo la revisione sistematica con meta-analisi (una tecnica statistica per calcolare l’effetto globale di più studi) di Simic e colleghi del 2013, lo stretching statico, eseguito come tecnica di riscaldamento, andrebbe generalmente evitato perché è stato visto influenzare negativamente la prestazione in termini di forza (-5.4%), potenza (-1.9%) ed esplosività (-2%), indipendentemente dal sesso, dall’età, e dal livello di preparazione atletica. I risultati negativi erano minori (anche se non assenti) se lo stretching veniva mantenuto per meno di 45 secondi.

La flessibilità muscolare secondo uno studio di O’Sullivan e colleghi non è un fattore così determinante nella performance atletica come siamo stati abituati a pensare e inoltre la flessibilità muscolare stessa può essere ottenuta anche diversamente dal classico stretching. Secondo una revisione della letteratura di Behm e colleghi (2011), lo stretching statico ha un effetto deleterio sulla prestazione se eseguito prima, ad esempio nel riscaldamento. Questa tipologia di stretching in allungamento statico andrebbe ad indurre delle modifiche nell’adattamento muscolare che possono influenzare la funzione tipica del muscolo che invece è in allungamento-accorciamento, manifestando le problematiche maggiori nella diminuzione della forza o della massima potenza muscolare.

E’ stato visto invece che può avere degli effetti sull’escursione articolare se utilizzato in una sessione diversa da quella dell’allenamento: produrrebbe in sostanza una maggiore sensazione di “libertà nel movimento”. Se effettuato per una durata di secondi limitata può non interferire sulla prestazione atletica, soprattutto se si tratta di atleti ben allenati.

Lo stretching dinamico invece potrebbe non avere effetti negativi sulla performance (o in misura ridotta), soprattutto se eseguito per un periodo prolungato. Potrebbe inoltre andare a compensare gli effetti negativi dello stretching statico se effettuato dopo di questo e seguito ulteriormente da alcuni minuti di riscaldamento.
Particolare attenzione andrebbe posta se si decidesse di implementare lo stretching statico, di qualsiasi durata, se lo sport coinvolto prevede contrazioni rapide, alte velocità o se è  necessaria esplosività ed elevate forze di reattività, soprattutto laddove ogni minima variazione negativa della performance può risultare determinante (come nel caso degli sport di velocità). In questi casi il riscaldamento dovrebbe essere impostato con esercizi diversi.
Gli autori sconsigliavano quindi di praticare stretching, soprattutto statico, prima di sessioni alta intensità, di forza o esplosività come potrebbero essere le ripetute.

E’ consigliato invece optare per lo stretching, data la sensazione generale di benessere che produce a seguito dell’aumentata articolarità, nella fase del defaticamento o in una sessione indipendente, lontana dagli allenamenti o dalle gare, per raggiungere un cambiamento più stabile nella flessibilità muscolare soggettiva.

  • Lo Stretching previene gli infortuni?

 Anche in questo caso i risultati della ricerca scientifica non sembrano deporre a favore dello stretching che non si è dimostrato efficace nel ridurre il rischio di infortuni. Per raggiungere questo obiettivo, così come nel miglioramento della prestazione atletica, sono maggiormente indicati dei programmi specifici di rinforzo.

Nella revisione della letteratura di Small e colleghi del 2008, dei 7 studi analizzati, soltanto uno dimostrava una riduzione del numero totale degli infortuni; 4 studi erano concordi nello stabilire che lo stretching non riducesse la percentuale degli infortuni e 3 invece avevano notato una riduzione nella sola tipologia degli infortuni muscolari e legamentosi: tuttavia non si riduceva il numero totale degli infortuni. Gli autori dello studio concludevano che l’evidenza sull’inefficacia dello stretching era di livello moderato/forte.

La revisione della letteratura di Lewis del 2014 va in direzione leggermente diversa, ma gli articoli analizzati riguardavano l’utilizzo concomitante di strategie di riscaldamento e quindi il possibile effetto negativo dello stretching può essere stato in qualche misura mitigato da altre tecniche di riscaldamento: non vi era quindi un effetto negativo dello stretching, riguardo la prevenzioni degli infortuni, ma nemmeno un effetto positivo in quanto le evidenze erano inconclusive. I migliori risultati sembravano esserci quando si optava per un programma personalizzato e sport-specifico che comprendesse sia lo stretching che un opportuno e specifico riscaldamento.

Più che lo stretching in se quindi, per quanto riguarda la prevenzione degli infortuni, è opportuno impostare degli esercizi mirati, specifici e individuali, sulla base dello sport praticato e dell’atleta: in questi casi, quando le evidenze scientifiche sono limitate o non esaustive, è giusto e opportuno tenere in considerazione anche le specifiche abitudini o sensazioni riscontrate dai pazienti stessi (uno dei principi della Medicina Basata sulle Prove di Efficacia).

  • Lo Stretching serve davvero per “allungare” i muscoli? 

Anche questo “mito” è stato messo in discussione con un recente studio di Konrad e colleghi, i quali hanno testato un programma di “allungamento” di 6 settimane per il polpaccio e il tendine d’Achille su 49 volontari. Lo scopo era quello di verificare se ci fossero reali cambiamenti nell’escursione articolare dei distretti anatomici interessati e se questi fossero dovuti realmente ad un cambiamento di tipo strutturale. I risultati dello studio hanno confermato come ci siano dei miglioramenti significativi nel movimento ma non nella forza, ne tantomeno della struttura muscolo-tendinea. I cambiamenti indotti dallo stretching quindi, secondi gli autori dello studio, non potrebbero essere spiegati da modifiche strutturali quanto piuttosto è stata ipotizzata una maggior tolleranza all’allungamento, indotta dall’adattamento delle terminazioni nervose.

Risultati confermati anche da un successivo studio sempre dello stesso gruppo di ricerca, in cui si notava sempre un miglioramento del movimento e una riduzione della rigidità del tendine, ma la resistenza opposta dal complesso mio-tendineo rimaneva invariata.

  • Cosa succede nel Running ?

Lo studio più recente è quello del gruppo giapponese di Yamaguchi e colleghi (2015) che hanno dimostrato come un gruppo di runner che eseguiva una serie di 10 ripetizioni di stretching dinamico, più velocemente possibile, per i 5 gruppi muscolari principalmente impegnati nella corsa, avesse una performance migliore nei test eseguiti su tapis roulant. Tradotto in numeri, questi atleti correvano circa 700m in più e impiegavano circa 2 minuti e mezzo in più prima di arrivare a esaurimento muscolare, anche se non cambiava la VO2max come indice di efficienza della corsa. Risultati promettenti quindi, che però vanno analizzati con cautela perché il campione studiato era molto esiguo (solo 7 soggetti) e perché uno studio precedente del 2014 (Zourdos e coll.) dimostrava invece il contrario.

Due studi (uno del 2011 e uno del 2014) hanno dimostrato invece come lo stretching statico non modificasse ne il tempo impiegato per correre i 3000 metri ne l’efficienza della corsa: solo i primi 100 metri venivano corsi con una velocità significativamente inferiore. La funzione neuromuscolare risultava però alterata in termini di attivazione elettromiografica dei gruppi muscolari dell’arto inferiore. Allo stesso modo peggiorava l’economia di corsa, con un aumento del tempo di contatto e un ampiezza del movimento (due fattori che sono stati studiati ridurre la performance e predisporre agli infortuni) maggiori, rispettivamente, del 2% e dell’11%. Peggiorava inoltre anche l’altezza totale nel test del salto del 9%.

Addirittura uno dei primi studi sullo stretching applicato ai runner (Wilson, 2010) dimostrava come la performance fosse addirittura migliore (seppur di soli 200 metri) in chi non avesse fatto stretching, e in aggiunta aumentava anche la spesa energetica misurata in Kcal.
Risultati confermati anche da Lowery e colleghi nel 2013 che sconsigliavano di eseguire lo stretching statico prima di una performance, anche di breve durata: questo gruppo di ricercatori aveva testato gli atleti sul miglio in salita al 5% e la riduzione della performance registrata era dell’8%.

Nessun cambiamento nemmeno nella biomeccanica del gesto atletico se lo stretching statico dei flessori posteriori della coscia, era eseguito prima della corsa (Hammonds, 2012).

CONSIGLI PER I RUNNER: 

– Lo stretching, soprattutto quello statico, andrebbe evitato prima degli allenamenti e delle competizioni, sia aerobiche che anaerobiche, sia di breve che di lunga durata.  

– Si può optare per lo stretching dinamico, qualora questo fosse ben tollerato dall’atleta e producesse delle sensazioni positive durate la corsa  

– Lo stretching statico può essere effettuato lontano dagli allenamenti e dalle corse, in una specifica sessione d’allenamento dedicata, oppure al termine della corsa stessa, nella fase di defaticamento.  

– Per ottimizzare la performance e ridurre il rischio di infortuni, è più opportuno eseguire un programma specifico di riscaldamento pre-gara e di rinforzo muscolare durante la settimana
Una corretta informazione scientifica aiuta i clinici ma soprattutto i pazienti nel prendere decisioni consapevoli e sicure in ambito sanitario; lo scopo di questa serie di commenti agli articoli della Cochrane UK è proprio quello di informare i pazienti e in particolare gli sportivi: per dirla con la frase d’esordio dell’articolo pubblicato sul sito dell’ente britannico: “per tutti coloro che ambiscono al podio o anche solo al parco giochi” !




Antonello Viceconti
Fisioterapista, Terapista Manipolativo Ortopedico. Laurea Magistrale delle Professioni Sanitarie. Università degli Studi di Genova


Fonte: Trailrunning.it

RUBRICA I GRANDI CAMPIONI- INTERVISTA A CRISTIAN MODENA


“Il consiglio che mi sento di dare a chi si avvicina al trail running é di non avere paura.”




Questa settimana abbiamo intervistato il nostro amico e grande atletaChristian Modena!
Ecco quello che ci ha raccontato.

1) Quando hai cominciato con il trail running?
Con il trail running ho iniziato nel 2011, in occasione delle “Porte di Pietra“. La mia prima gara di corsa in assoluto… conclusa con un inaspettato 7 posto finale.
Un ottimo risultato considerato che prima ho solo corso per allenare le gare di sci alpinismo e che mi sono avventurato da completo profano a fare una gara che superava i 70 km….

2) Cosa ti ha spinto verso questa attività sportiva?
Verso questa attività sportiva mi ha spinto la necessità di dovermi allenare con un po’ di qualità non avendo moltotempo a disposizione.
Ho sempre corso in bicicletta, ma li servivano ore di allenamento, e con gli sci dovevo fare troppi km in macchina per potermi allenare… la corsa era lo sport più completo….e poi mi é cominciato a piacere un sacco…

3) Cosa bisogna sapere prima di cominciare con il trail running?
Prima di cominciare con il trail running bisogna sapere solo una cosa… che deve essere un piacere…una persona abituata alla fatica che ama la montagna, trova il trail running come una giunzione tra le cose.
É uno sport completo che necessita di testa, fisico, passione, e spirito di sacrificio…uno sport quasi…perfetto.

4) In cosa consiste il tuo allenamento?
Il mio allenamento é molto semplice… prima fatico come un cane durante il giorno sui cantieri, poi defatico…con la corsa!
A parte gli scherzi, mi alleno mediamente dopo le 6 la sera quasi tutto l’anno… d’estate alterno qualche uscita in bici, d’inverno qualche uscita con gli ski-alp.
Difficilmente faccio più di un ora e mezza, a parte sabato pomeriggio e domenica, dove mi dedico a sedute più lunghe ed intense oppure alle gare…

5) Qual’è la tua tipica giornata di allenamento?
La mia tipica giornata di allenamento é partire, facendo un breve riscaldamento di 15 minuti. Poi comincio subito con lavori più intensi, quasi sempre in salita.
Fatico ad allenarmi in piano, anche se lo trovo molto utile. Nell’arco dell’anno percorro mediamente 1000 mt di dislivello al giorno… amo da impazzire la salita, e la faccio anche quando non dovrei…


6) Quanto e cosa mangi quando ti alleni?
Durante gli allenamenti non mangio quasi mai… raramente mi capita di portarmi un gel o qualche croccantino con il miele.
Sui giri lunghi mi piace appoggiarmi ai rifugi che incontro lungo il giro…dove non mi risparmio in quanto a mangiare.
Nelle gare lunghe l’alimentazione rimane il mio grosso, grossissimo problema.

7) Qual’è il tuo prossimo obiettivo?
Il mio prossimo obbiettivo rimane quello di fare un finale di stagione in crescendo. Ho impegni importanti come ilBrenta trail o le finali Sky Race di Limone sul Garda.
Vorrei tanto arrivarci motivato e ben allenato per fare delle belle gare.
Altrimenti….pazienza, basta esserci e divertirsi.
Ormai gareggio quasi tutti i week-end e cerco di dare sempre il massimo.

8) Hai qualche consiglio per chi vuole iniziare a praticare questa attività?
Il consiglio che mi sento di dare a chi si avvicina al trail running é di non avere paura.
Mi spiego meglio… chi inizia pensa che sia uno sport faticoso, per pochi, quasi estremo….il bello é scoprire che non é così.
Il tempo insegnerà ai nuovi runner che il trail é uno sport di enormi soddisfazioni, dove ci si mette alla prova per raggiungere obbiettivi quasi impossibili.

9) Chi è la persona o l’atleta a cui ti ispiri?
Dire che mi ispirò a uno come Kilian Jornet sembra quasi riduttivo… mi ispirò più che altro ai comuni “tapascioni” che fanno l'impossibile per concludere le gare… Loro per me sono gli eroi, e loro per me sono veri campioni… dovendo fare due nomi di fuoriclasse che mi entusiasmano ogni volta che pubblicano un impresa direi appunto Kilian e Ueli Steck….

10) Perchè consigli Mud and Snow?
Perché consiglio Mud and Snow???
Semplice… perché prima di tutto ho trovato un amico che accontenta ogni mia richiesta, mi sa sempre consigliare su ogni tipo di materiale!
Mi sa regalare un assistenza incredibile, e dirige una squadra di persone fantastiche…. più che negoziante un VERO amico.

Grazie mille Christian per la tua disponibilità, tenacia e per i tuoi preziosi consigli.
In bocca al lupo per il tuo futuro!

Fonte: MudandSnow