Lo stretching funziona davvero nel
ridurre il dolore muscolare dopo l’esercizio fisico? L’ultimo articolo della
Speciale Rubrica dedicata alle Evidenze Scientifiche nello Sport affronta uno
dei temi più discussi in ambito sportivo.
Quella dello stretching è una pratica
molto comune tra gli sportivi, in generale di tutte le discipline e in
particolare di quelle che richiedono un’elevata elasticità motoria.
Molti atleti e addetti ai lavori
(preparatori atletici in primis) suggeriscono “l’allungamento muscolare” prima
o dopo l’attività fisica per prevenire gli infortuni, ridurre i dolori
muscolari post-allenamento o migliorare la performance.
Ma è possibile affermare che questa
pratica sia davvero utile?
Per dare una risposta al quesito
clinico, come per altri quesiti in campo sanitario, sono possibili tre strade
diverse:
- affidarsi al parere “degli esperti”, cioè al pensiero e alla conoscenza di chi “dovrebbe saperne” in merito
- fare come fanno tutti o come si è sempre fatto (quindi affidarsi all’esperienza)
- affidarsi ai principi della Medicina Basata sulle Prove di Efficacia, che è il risultato delle migliori evidenze scientifiche disponibili al momento (studi scientifici di buona qualità provenienti dalla ricerca) e unitamente all’esperienza del clinico tiene in considerazione anche i valori del paziente.
Di contro, se il paziente agisse
basandosi soltanto sulle proprie convinzioni o sul “sentire comune”, non
avrebbe alcuna garanzia di imparzialità e di obiettività scientifica. Nelle
decisioni in campo sanitario è grave la condotta dei tecnici e dei
professionisti quando è basata unicamente sul sapere comune e sulle consuete
abitudini.
Howard Haggard, nella “Storia
dell’errore umano”, nel 1941 affermava nel capitolo “L’errore in medicina” come “l’errore
più persistente in questo campo sia la tendenza ad accettare le opinioni
correnti come verità definitive”.
Per citare un importante ricercatore
italiano, Alessandro Liberati, presidente fino alla sua morte del Centro
Cochrane Italiano, “i medici hanno sempre teso a considerare il
proprio officio art-based anziché science-based. E così molto più dell’arte
potè l’arbitrio. Per secoli, in pratica sino alla metà del Novecento” .
La metodologia della Medicina Basata
sulle Prove di Efficacia, nata ufficialmente nel 1992 con la pubblicazione del
primo editoriale su un’importante rivista americana, si prefigge invece lo
scopo di sopperire, tramite l’integrazione della ricerca, dell’esperienza e dei
valori del paziente, alle carenze dell’approccio che tradizionalmente è stato
adottato in medicina per rispondere ai quesiti clinici.
In sostanza una medicina basata sulle
prove (Evidence-Based), piuttosto che sulle opinioni (Opinion-Based).
Dovendo rispondere alla domanda
iniziale, se lo stretching sia davvero efficace del ridurre i dolori muscolari
dopo l’attività sportiva, potrei parlare a titolo personale sulla base della
mia esperienza clinica di fisioterapista e sportiva di ciclista e runner,
oppure affidarmi ai “risultati” ottenuti con i pazienti e ai loro racconti. Il
risultato sarebbe però del tutto autoreferenziale e fortemente influenzato
proprio da quell’ “arbitrio” cui faceva riferimento Liberati.
Per fornire una risposta imparziale a
chi chiede se lo stretching “funzioni o meno” bisognerebbe innanzitutto
rispondere con quello che attualmente sostiene la comunità scientifica,
analizzando le ricerche più aggiornate e di elevata qualità, utilizzate in modo
coscienzioso e giudizioso, integrandole con l’esperienza professionale del
clinico (soprattutto laddove la ricerca mostra ancora dei limiti) e con le
aspettative e i valori del paziente (atleta in questo caso).
Evidenze scientifiche sullo
stretching
Da una Revisione Sistematica della
Letteratura Cochrane* del 201l spicca l’analisi di 12 studi
clinici che hanno valutato l’effetto dello stretching prima, dopo, o prima e
dopo l’attività fisica.
Tale analisi ha evidenziato come lo
stretching non abbia alcun effetto clinicamente rilevante, o effetti molto
limitati, sul dolore muscolare che insorge nella settimana in cui si pratica
sport.
Proviamo quindi a rispondere ad alcuni
quesiti molto comuni sulla base dei risultati emersi.
- Lo Stretching migliora la performance ?
Secondo la revisione sistematica con
meta-analisi (una tecnica statistica per calcolare l’effetto globale di più
studi) di Simic e colleghi del 2013, lo stretching statico, eseguito come
tecnica di riscaldamento, andrebbe generalmente evitato perché è stato visto
influenzare negativamente la prestazione in termini di forza (-5.4%), potenza
(-1.9%) ed esplosività (-2%), indipendentemente dal sesso, dall’età, e dal
livello di preparazione atletica. I risultati negativi erano minori (anche se
non assenti) se lo stretching veniva mantenuto per meno di 45 secondi.
La flessibilità muscolare secondo uno studio di
O’Sullivan e colleghi non è un fattore così determinante nella
performance atletica come siamo stati abituati a pensare e inoltre la
flessibilità muscolare stessa può essere ottenuta anche diversamente dal
classico stretching. Secondo una revisione della letteratura di Behm e colleghi
(2011), lo stretching statico ha un effetto deleterio sulla prestazione se
eseguito prima, ad esempio nel riscaldamento. Questa tipologia di stretching in
allungamento statico andrebbe ad indurre delle modifiche nell’adattamento
muscolare che possono influenzare la funzione tipica del muscolo che invece è
in allungamento-accorciamento, manifestando le problematiche maggiori nella
diminuzione della forza o della massima potenza muscolare.
E’ stato visto invece che può avere
degli effetti sull’escursione articolare se utilizzato in una sessione diversa
da quella dell’allenamento: produrrebbe in sostanza una maggiore sensazione di
“libertà nel movimento”. Se effettuato per una durata di secondi limitata può
non interferire sulla prestazione atletica, soprattutto se si tratta di atleti
ben allenati.
Lo stretching dinamico invece
potrebbe non avere effetti negativi sulla performance (o in misura ridotta),
soprattutto se eseguito per un periodo prolungato. Potrebbe inoltre andare a
compensare gli effetti negativi dello stretching statico se effettuato dopo di
questo e seguito ulteriormente da alcuni minuti di riscaldamento.
Particolare attenzione andrebbe posta se
si decidesse di implementare lo stretching statico, di qualsiasi durata, se lo
sport coinvolto prevede contrazioni rapide, alte velocità o se è
necessaria esplosività ed elevate forze di reattività, soprattutto laddove ogni
minima variazione negativa della performance può risultare determinante (come
nel caso degli sport di velocità). In questi casi il riscaldamento dovrebbe
essere impostato con esercizi diversi.
Gli autori sconsigliavano quindi di
praticare stretching, soprattutto statico, prima di sessioni alta intensità, di
forza o esplosività come potrebbero essere le ripetute.
E’ consigliato invece optare per lo
stretching, data la sensazione generale di benessere che produce a seguito
dell’aumentata articolarità, nella fase del defaticamento o in una sessione
indipendente, lontana dagli allenamenti o dalle gare, per raggiungere un
cambiamento più stabile nella flessibilità muscolare soggettiva.
- Lo Stretching previene gli infortuni?
Anche in questo caso i risultati della
ricerca scientifica non sembrano deporre a favore dello stretching che non si è
dimostrato efficace nel ridurre il rischio di infortuni. Per raggiungere
questo obiettivo, così come nel miglioramento della prestazione atletica, sono
maggiormente indicati dei programmi specifici di rinforzo.
Nella revisione della letteratura di
Small e colleghi del 2008, dei 7 studi analizzati, soltanto uno dimostrava una
riduzione del numero totale degli infortuni; 4 studi erano concordi nello
stabilire che lo stretching non riducesse la percentuale degli infortuni e 3
invece avevano notato una riduzione nella sola tipologia degli infortuni
muscolari e legamentosi: tuttavia non si riduceva il numero totale degli
infortuni. Gli autori dello studio concludevano che l’evidenza sull’inefficacia
dello stretching era di livello moderato/forte.
La revisione della letteratura di Lewis
del 2014 va in direzione leggermente diversa, ma gli articoli analizzati
riguardavano l’utilizzo concomitante di strategie di riscaldamento e quindi il
possibile effetto negativo dello stretching può essere stato in qualche misura
mitigato da altre tecniche di riscaldamento: non vi era quindi un effetto
negativo dello stretching, riguardo la prevenzioni degli infortuni, ma nemmeno
un effetto positivo in quanto le evidenze erano inconclusive. I migliori
risultati sembravano esserci quando si optava per un programma personalizzato e
sport-specifico che comprendesse sia lo stretching che un opportuno e specifico
riscaldamento.
Più che lo stretching in se quindi, per quanto riguarda
la prevenzione degli infortuni, è opportuno impostare degli esercizi mirati,
specifici e individuali, sulla base dello sport praticato e dell’atleta: in
questi casi, quando le evidenze scientifiche sono limitate o non esaustive, è
giusto e opportuno tenere in considerazione anche le specifiche abitudini o
sensazioni riscontrate dai pazienti stessi (uno dei principi della Medicina
Basata sulle Prove di Efficacia).
- Lo Stretching serve davvero per “allungare” i muscoli?
Anche questo “mito” è stato messo in
discussione con un recente studio di Konrad e colleghi, i quali hanno testato
un programma di “allungamento” di 6 settimane per il polpaccio e il tendine
d’Achille su 49 volontari. Lo scopo era quello di verificare se ci fossero
reali cambiamenti nell’escursione articolare dei distretti anatomici interessati
e se questi fossero dovuti realmente ad un cambiamento di tipo strutturale. I
risultati dello studio hanno confermato come ci siano dei miglioramenti
significativi nel movimento ma non nella forza, ne tantomeno della struttura
muscolo-tendinea. I cambiamenti indotti dallo stretching quindi, secondi gli
autori dello studio, non potrebbero essere spiegati da modifiche strutturali
quanto piuttosto è stata ipotizzata una maggior tolleranza all’allungamento,
indotta dall’adattamento delle terminazioni nervose.
Risultati confermati anche da un
successivo studio sempre dello stesso gruppo di ricerca, in cui si notava
sempre un miglioramento del movimento e una riduzione della rigidità del
tendine, ma la resistenza opposta dal complesso mio-tendineo rimaneva
invariata.
- Cosa succede nel Running ?
Lo studio più recente è quello del
gruppo giapponese di Yamaguchi e colleghi (2015) che hanno dimostrato come un
gruppo di runner che eseguiva una serie di 10 ripetizioni di stretching
dinamico, più velocemente possibile, per i 5 gruppi muscolari principalmente
impegnati nella corsa, avesse una performance migliore nei test eseguiti su
tapis roulant. Tradotto in numeri, questi atleti correvano circa 700m in più e
impiegavano circa 2 minuti e mezzo in più prima di arrivare a esaurimento
muscolare, anche se non cambiava la VO2max come indice di efficienza della
corsa. Risultati promettenti quindi, che però vanno analizzati con cautela
perché il campione studiato era molto esiguo (solo 7 soggetti) e perché uno
studio precedente del 2014 (Zourdos e coll.) dimostrava invece il contrario.
Due studi (uno del 2011 e uno del 2014)
hanno dimostrato invece come lo stretching statico non modificasse ne il tempo
impiegato per correre i 3000 metri ne l’efficienza della corsa: solo i primi
100 metri venivano corsi con una velocità significativamente inferiore. La
funzione neuromuscolare risultava però alterata in termini di attivazione
elettromiografica dei gruppi muscolari dell’arto inferiore. Allo stesso modo
peggiorava l’economia di corsa, con un aumento del tempo di contatto e un
ampiezza del movimento (due fattori che sono stati studiati ridurre la
performance e predisporre agli infortuni) maggiori, rispettivamente, del 2% e
dell’11%. Peggiorava inoltre anche l’altezza totale nel test del salto del 9%.
Addirittura uno dei primi studi sullo
stretching applicato ai runner (Wilson, 2010) dimostrava come la performance
fosse addirittura migliore (seppur di soli 200 metri) in chi non avesse fatto
stretching, e in aggiunta aumentava anche la spesa energetica misurata in Kcal.
Risultati confermati anche da Lowery e
colleghi nel 2013 che sconsigliavano di eseguire lo stretching statico prima di
una performance, anche di breve durata: questo gruppo di ricercatori aveva
testato gli atleti sul miglio in salita al 5% e la riduzione della performance
registrata era dell’8%.
Nessun cambiamento nemmeno nella
biomeccanica del gesto atletico se lo stretching statico dei flessori
posteriori della coscia, era eseguito prima della corsa (Hammonds, 2012).
CONSIGLI PER I RUNNER:
– Lo stretching, soprattutto quello
statico, andrebbe evitato prima degli allenamenti e delle competizioni, sia
aerobiche che anaerobiche, sia di breve che di lunga durata.
– Si può optare per lo stretching
dinamico, qualora questo fosse ben tollerato dall’atleta e producesse delle
sensazioni positive durate la corsa
– Lo stretching statico può essere
effettuato lontano dagli allenamenti e dalle corse, in una specifica sessione
d’allenamento dedicata, oppure al termine della corsa stessa, nella fase di
defaticamento.
– Per ottimizzare la performance e
ridurre il rischio di infortuni, è più opportuno eseguire un programma
specifico di riscaldamento pre-gara e di rinforzo muscolare durante la
settimana
Una corretta informazione scientifica
aiuta i clinici ma soprattutto i pazienti nel prendere decisioni consapevoli e
sicure in ambito sanitario; lo scopo di questa serie di commenti agli articoli
della Cochrane UK è proprio quello di informare i pazienti e in particolare gli
sportivi: per dirla con la frase d’esordio dell’articolo pubblicato sul sito
dell’ente britannico: “per tutti coloro che ambiscono al podio o anche solo al
parco giochi” !
Antonello Viceconti
Fisioterapista, Terapista Manipolativo Ortopedico. Laurea Magistrale delle Professioni Sanitarie. Università degli Studi di Genova
Fonte: Trailrunning.it
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