Gli infortuni a carico del sistema muscolo-scheletrico sono frequenti nel running; la letteratura ha studiato in particolare la maratona, dove l’incidenza degli infortuni muscolo-scheletrici può arrivare fino a 3/4 di tutti gli infortuni mentre nelle ultramaratone variano dal 2% al 18%.
Nelle ultramaratone a tappe gli infortuni gravi che impediscono di
proseguire la corsa sono circa il 22% e statisticamente accadono fra il terzo e
il quarto giorno (nello studio in questione si trattava di una corsa a tappe
della durata di 7 giorni). Questi dati dimostrano ulteriormente quale sia il
peso specifico dei potenziali effetti cumulativi della corsa di lunga distanza
sul sistema muscolo-scheletrico e lo stress meccanico che ne deriva.
Oltre al
generico dolore muscolare che affligge molti ultramaratoneti, sono i cosiddetti
infortuni “maggiori” che possono portare a una diminuzione della performance, a
una sospensione degli allenamenti o al ritiro dalle corse e a richiedere cure
mediche specifiche. Sicuramente in tema di infortuni la fanno da padrone quelli
che affliggono gli arti inferiori.
Una revisione della letteratura scientifica ha fornito dati più esatti in
merito, riportati nella tabella sottostante, in cui sono classificate le
principali condizioni cliniche del runner, dalla più frequente alla meno
frequente.
Infortuni
|
Incidenza*
|
Prevalenza**
|
Sindrome
da stress mediale tibiale
|
13.6%-20%
|
9.5%
|
Tendinopatia
Achillea
|
9.1%-10.9%
|
6.2%-9.5%
|
Fascite
Plantare
|
4.5%-10%
|
5.2%-17.5%
|
* in epidemiologia è la misura della frequenza statistica di una
patologia, vale a dire quanti nuovi casi di una data malattia compaiono in un
determinato lasso di tempo. Il suo fine ultimo è quello di stimare la
probabilità di una persona di ammalarsi della malattia in esame.
** in epidemiologia e in medicina è la misura dell’impatto di una patologia
sulla popolazione in un dato momento.
Negli ultramaratoneti la situazione cambia leggermente: la patologia più
comune per questi atleti è senz'altro la tendinopatia del tendine d’Achille e
la sindrome femoro-rotulea. Ma ancora più interessanti sono i dati ottenuti da
studi che hanno valutato i fattori di rischio per gli infortuni “prevenibili”,
condotti su maratoneti e reclute militari: è stato stimato che tra il 60% e il
72% degli infortuni nella corsa sono dovuti a errori nell'allenamento, inclusi
il chilometraggio eccessivo o l’improvviso cambio delle abitudini di corsa.
I fattori associati ad aumento degli infortuni degli arti inferiori
comprendono una storia pregressa di infortuni, allenamenti per più di 64
km a settimana (negli uomini) e la partecipazione a più di 6 gare nell'ultimo
anno anche se il chilometraggio non è a tutti i costi “un demone”: interessante
è la scoperta di Fields e colleghi che ha dimostrato come i chilometraggi più
alti negli allenamenti siano addirittura un fattore protettivo per gli
infortuni al ginocchio anche se non lo sono per quelli che riguardano la coscia
e i muscoli flessori.
Esistono invece evidenze limitate e conflittuali per quanto riguarda
l’impatto dell’età e dell’indice di massa corporeo: sembrerebbe però che
gli atleti più “esperti” corrano qualche rischio in meno (seppur in maniera
molto contenuta) rispetto ai “novizi”.
Nuove evidenze hanno invece posto l’attenzione più che sul chilometraggio
totale settimanale, sugli incrementi dei carichi di allenamento (in termini di
durata e distanza) tra una settimana e l’altra. Altri studi hanno analizzato
l’effetto della forza muscolare, della biomeccanica, dello stretching e della
tipologia di scarpa nella prevenzione degli infortuni.
La debolezza del muscolo vasto mediale della gamba e dei muscoli dell’anca
(abduttori e flessori) sono considerati potenziali fattori di rischio per gli
infortuni degli arti inferiori, inclusa la sindrome della bandelletta
ileo-tibiale e il dolore femoro-rotuleo. Anche il piede cavo sembrerebbe essere
un fattore di rischio, questa volta per le fratture cosiddette “da stress” e
per il dolore femoro-rotuleo; tuttavia non vi sono ad oggi studi che abbiano
valutato l’effetto di ortesi (es. plantari) o supporti dell’arcata plantare nel
diminuire il tasso di infortuni.
Si può stare relativamente tranquilli invece per quanto riguarda altri tipi
di “disallineamenti”, incluse le ginocchia valghe (le cosiddette “ginocchia a
x”) che non sembrerebbero costituire fattori di rischio per gli infortuni. Una
revisione della letteratura della Cochrane Collaboration (una delle più
autorevoli istituzioni scientifiche che si occupano di analizzare e
sintetizzare i migliori articoli scientifici pubblicati in merito a una
determinata tematica) sul ruolo delle ortesi, suggerisce che le suolette
“shock-absorbing ” riducono l’incidenza delle fratture da stress nelle reclute
militari ma il loro ruolo nei runner è poco chiaro.
Sulle cosiddette scarpe ad approccio “minimalista” c’è ancora dibattito in
letteratura: nonostante gli studi evidenzino la differenza tra i runner
tradizionali e i “minimalist” riguardo alle forze d’impatto al suolo, il loro
effetto nella riduzione degli infortuni attende ancora ulteriori conferme
scientifiche. Le evidenze scientifiche riportate sono senz’altro utili agli
atleti di questa disciplina, tuttavia non esiste attualmente in letteratura
scientifica la “strategia ideale” per prevenire gli infortuni negli
ultramaratoneti: resta di grande importanza quindi un’opportuna e individuale
valutazione dello specifico caso da parte di uno fisioterapista specializzato
che possa correttamente individuare i potenziali fattori individuali nello
sviluppo e nel mantenimento degli infortuni a carico del sistema
muscolo-scheltrico.
Riportiamo di seguito alcune raccomandazioni, basate sia su evidenze
scientifiche che sull'esperienza sia del sottoscritto che degli autori da cui
sono state tratte.
Potrebbe sembrare irragionevole raccomandare a un ultramaratoneta di
limitare il suo chilometraggio a 64 km/settimana per prevenire l’insorgenza di
infortuni, tuttavia allo stato attuale è il dato “di sicurezza” che emerge
sulla base dei precedenti studi fatti sui maratoneti. I futuri studi dovranno
senz'altro focalizzarsi nell'identificare con più precisione un limite di
chilometraggio senza sacrificare la performance, tuttavia un argomento va
toccato: la qualità degli allenamenti! Infatti più che quantitativamente, gli
ultramaratoneti dovrebbero concentrarsi sulla qualità delle sessioni di
allenamento: correggere gli errori nell'allenamento è una strategia corretta e
appropriata nel ridurre gli infortuni come riportato in vari studi
clinici.
All’interno di questo approccio possono essere incluse le strategie per
limitare il numero di competizioni stagionali, l’adesione a un programma mirato
e personalizzato di incremento graduale del chilometraggio in allenamento e
l’adozione di un’opportuna cadenza di passo durante la gara, a maggior ragione
nelle corse lunghe o a tappe dove gli infortuni possono verificarsi nelle parti
finali della competizione.
Sembra quindi ragionevole adottare le linee guida generali definite come
“regola del 10” in cui gli incrementi del tempo totale in allenamento o del
chilometraggio dovrebbero avvenire nell'ordine del 10%-20% delle settimane
precedenti allo scopo di evitare l’insorgenza di infortuni. Quindi questa
semplice “regola” può essere adottata anche autonomamente da ogni runner.
Tuttavia in specifici casi o in presenza di fattori di rischio, piuttosto che
in preparazione di gare “estreme” come le Ultra, eventuali deroghe a queste
indicazioni dovrebbero avvenire solo sotto la supervisione e il controllo di
preparatori atletici e fisioterapisti esperti nel campo.
Katia Figini
Preparatrice
atletica, Istruttrice Tecnica di trailrunning
Fonte: TrailRunning.it
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