Ho la fortuna di lavorare a contatto con
diverse tipologie di atleti, differibili sia per disciplina praticata, sia per
caratteristiche che per livello qualitativo, ma molto spesso mi sono accorto
che uno dei minimi comuni denominatori, o punti di contatto, sia dato dalla
maggiore difficoltà di un atleta nel comprendere quanto il recupero sia
basilare per incrementare la propria prestazione.
A dire il vero l’atleta
di alto livello si conosce spesso in maniera profonda e pertanto il concetto di
recupero per esso è un qualcosa di assimilato, ma come vedremo in seguito il
recupero per atleti professionisti deve rispettare certi canoni che vedremo poi
in seguito.
Le maggiori difficoltà sono
paradossalmente con atleti amatori o sportivi neofiti che, presi
dall’entusiasmo, vedono il recupero come un freno alla loro crescita
prestazionale, ma ovviamente non è affatto così.
LA SUPERCOMPENSAZIONE:
Comprendere il meccanismo della
supercompensazione significa prendere coscienza di come la combinazione tra
carico e recupero, con i giusti intervalli, sia basilare per ottenere un
adattamento positivo. Se consideriamo l’allenamento come l’insieme degli
adattamenti in risposta ad una successione di carichi, intervallati tra loro da
un recupero, possiamo comprendere meglio tutto ciò che si leggerà da qui a
seguire.
Fig.1: Esempio di adattamento negativo
in seguito ad una successione di carichi impegnativi, intervallati da recupero
incompleto. (Zetatraining)
Fig.2: Esempio di adattamento positivo
in seguito ad una successione di carichi intervallati da recupero completo.
(Zetatraining)
Le due rappresentazioni grafiche
semplificano sicuramente il concetto di supercompensazione, cioè quel modello
teorico in grado di meglio rappresentare il processo di adattamento in seguito
a stimoli allenanti.
Infatti l’allenamento crea uno stato di
stress che altera l’omeostasi (stato di equilibrio dell’organismo) e porta alla
comparsa della fatica, successivamente mediante il recupero ed i processi
anabolici (che contrastano i processi catabolici della fatica), il
ristabilimento dell’omeostasi, si giunge ad una fase di recupero delle energie:
un adattamento positivo se il carico successivo viene proposto in seguito ad un
recupero completo e corretto (fig.2), negativo se proposto in seguito ad un
recupero incompleto (fig.1).
E’ chiaro come un continuo adattamento
negativo rischi di portare all’overtraining (termine spesso abusato, di cui
parleremo in un apposito capitolo), mentre un corretto piano di allenamento sia
in grado di portare ad un adattamento positivo e quindi al miglioramento della
performance sportiva.
UN MODELLO DI RECUPERO VALIDO PER TUTTI?
Ovviamente no!
Ogni soggetto sottoposto ad un carico
esterno (volume, intensità, frequenza, densità) ha una risposta interna (carico
interno) differente rispetto ad un altro, per questo è fondamentale conoscere
oltre ai tempi di recupero “scientifici” in seguito a diversi tipi di
allenamenti, anche e soprattutto il proprio atleta e prevedere la sua reazione
“interna”.
Riguardo appunto a ciò che la scienza
dell’allenamento e la fisiologia hanno approfondito sul tema, conosciamo oggi
il tempo necessario per recuperare un determinato lavoro, ma ovviamente questa
conoscenza deve sempre mixarsi con la conoscenza del proprio atleta, sia a
livello fisico che mentale.
Fig.re 4a-4b: Tempi di
supercompensazione in funzione dello stimolo allenante. (Olbrecht, 2000)
(Rappresentazione grafica tratta da “Triathlon”, cap.2 pag.45)
Ancora una volta penso che queste
rappresentazioni grafiche possano aiutarvi a capire più di tante parole
scritte, per cui non intendo dilungarmi troppo sull’argomento; voglio se mai
focalizzare la vostra attenzione su un argomento ancora troppo spesso frutto di
confusione da parte degli sportivi: il lattato ed il suo smaltimento.
Chiariamolo una volta per tutte: il lattato viene eliminato nel giro di
poche ore e solitamente in un arco temporale che va dai 30 ai 90’.
Il dolore muscolare che un atleta prova a seguito di un allenamento molto
intenso, nei giorni seguenti, non è ovviamente legato ad esso, bensì si tratta
di DOMS (dolore muscolare tardivo), ed il fisioterapista di fiducia di
InfinityRun Nicola Vermi ne
ha trattato in un capitolo apposito(http://infinityrun.it/non-sempre-e-acido-lattico-ecco-alcuni-miti-da-sfatare-sui-muscoli/)pertanto
vi rimando ad un’altra pagina del sito per approfondire l’argomento.
QUANDO LO STIMOLO NON E’ EFFICACE:
Fino ad ora avrete letto dei due casi agli
antipodi tra loro di possibili adattamenti in seguito all’allenamento, ovvero
di adattamento positivo e di adattamento negativo (anche grave con
overtraining), ma spesso si assiste ad atleti il cui adattamento non cresce
significativamente né decresce in maniera importante, in quanto tende a
rimanere piuttosto stabile.
Solitamente è questa la casistica del
soggetto abituato per anni a seguire lo stesso schema di allenamento, che si
trova a correre sempre con lo stesso ritmo, piuttosto che a non ridurre i tempi
significativamente sulle salite di riferimento. La monotonia e l’eccessiva
ripetitività sono nemiche dei processi di adattamento positivo, in quanto un
piano di allenamento deve essere variabile, oltre che continuo, frequente,
sistematico, individualizzato, graduale, specifico e godere della giusta
alternanza tra carico e recupero.
Un piano allenante che ha dato grandissimi
risultati l’anno precedente, non è affatto detto né darà poi o ancora in
seguito, la stagnazione della performance è uno dei principali nemici da
combattere e spesso per farlo occorre avere il coraggio di cambiare, ovviamente
unito alle competenze tecnico-scientifiche.
CONCLUSIONI:
In conclusione…l’argomento non è affatto
concluso, ma proseguirà come anticipato in prefazione, toccando altri
micro-argomenti: dalla fatica al sovrallenamento , dal tapering ad altre
metodiche per favorire il recupero. E’ solo l’inizio di un vasto, vastissimo
argomento…Continuate a leggerci e grazie
dell’attenzione.
Davide Zecchi
Dott. in Scienze Motorie
www.zetatraining.it
zetatraining@gmail.com
Fonte: InfinityRun
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