venerdì 18 novembre 2016

FATICA E METABOLISMI ENERGETICI (SECONDA PARTE)



Ho le gambe dure dall’acido lattico”….è una delle frasi più frequenti ed errate che si sentono spesso dire da chi è affaticato. L’acido lattico non è un responsabile evidente della fatica, che invece ha origini di natura multifattoriale. La fatica non è altro che un meccanismo protettivo naturale del corpo (e di parti di esso, come i muscoli) per evitare che venga compromessa l’integrità dello stesso. Comprendere come funzionano i metabolismi e la fatica, è un passo fondamentale per capire l’allenamento e la performance. In questo post, cercheremo di spiegare in maniera estremamente chiara e comprensibile a tutti le basi della metodologia dell’allenamento, dell’alimentazione e dell’adattamento ambientale. Gli argomenti sono abbastanza complessi, ma il nostro tentativo è quello di renderli comprensibili a tutti. In caso di dubbi, o necessità di delucidazioni, non esitate a chiedere!


RIASSUNTO ALLA PRIMA PARTE


Nella prima parte dedicata all’argomento abbiamo affrontato 2 tematiche molto importanti:

·             metabolismi energetici
·      Il modello tridimensionale della fatica, approfondendo solamente la prima parte (fatica periferica) con ricadute applicative riguardanti alimentazione ed integrazione.

In questo post vedremo come la fatica centrale e la fatica cosciente influiscono sulla performance e come l’allenamento, l’ambientamento e l’alimentazione/integrazione possono aiutare a ritardarne l’insorgenza.




FATICA CENTRALE
(corsa in discesa, altitudine, ipertermia, ecc.)
La fatica è l’incapacità di mantenere durante lo sforzo l’intensità aspettata/voluta; prima di comprendere le cause della Fatica centrale, mi preme fare comprendere come vengono gestiti i segnali motori ed efferenti nel contesto della fisiologia.


Nell’immagine sopra è possibile vedere (in maniera semplificata) come i comandi motori che vanno al muscolo originino dai centri SUPERIORI ed INFERIORI del SNC (Sistema Nervoso Centrale).  Nell’esecuzione dei “comandi”, il muscolo (e tutto l’organismo) invia dei segnali al SNC (SEGNALI AFFERENTI) che informano costantemente (come una sorta di feedback, freccia viola) sulla “situazione fisiologica” del corpo.

Nel precedente post dedicato alla fatica periferica abbiamo visto come questa sia dovuta alla mancata corrispondenza tra i segnali del Sistema Nervoso (cioè i comandi, freccia blu) e l’intensità espressa; la causa può essere dovuta all’accumulo di cataboliti, alla carenza di substrati o altre alterazioni cellulari. Nella figura sotto è ben evidente con la “X” in basso all’interno del muscolo.


Sempre nell’immagine sopra, è possibile vedere anche l’origine della Fatica Centrale: questa si manifesta con una riduzione dei segnali dai CENTRI INFERIORI DEL SNC (cioè dall’origine della freccia blu) ai muscoli. In altre parole, il soggetto può richiedere con la volontarietà un certo livello di Potenza (freccia verde), ma i centri inferiori del SNC (che determinano l’origine dei segnali al muscolo) non rispondono in maniera corrispondente. La causa di questo risiede principalmente nei SEGNALI AFFERENTI (freccia viola), che informano il SNC che, in una determinata condizione, è meglio “non esagerare” con l’intensità muscolare per non compromettere l’integrità del muscolo o di altri sistemi dell’organismo. Ma passiamo a fare qualche esempio per essere più chiari:

·            CORSA IN DISCESA: è stato visto che quando si corre in discesa, non si riescono ad avere le stesse intensità cardiovascolari (in termini di consumo di ossigeno) rispetto alla corsa in pianura od in salita (ciò è evidente quanto più è ripida la pendenza della discesa). Questo è dovuto al fatto che in discesa, le strutture muscolari, tendinee ed articolari sono maggiormente sollecitate; l’informazione delle sollecitazioni viene trasmessa tramite i segnali afferenti (freccia viola) al SNC che inibisce parzialmente la contrazione muscolare per evitare che sforzi muscolari eccessivi compromettano l’integrità dei tessuti (muscolari/tendini/articolazioni). Per migliorare la capacità di correre in discesa, è fondamentale incrementare la stiffness delle catene muscolari (cioè la capacità di reagire a contrazioni intense in poco tempo) e l’attitudine a correre in discesa. Nel nostro post dedicato, abbiamo approfondito l’allenamento specifico per la discesa.
  


·              CORSA IN ALTA QUOTA: la corsa di resistenza in alta quota è un altro esempio di come la fatica centrale limiti lo sforzo fisico. Infatti, come tutti sanno, le prestazioni di endurance vengono limitate man mano che la quota incrementa; è evidente che ciò sia dovuto alla rarefazione dell’ossigeno. Ma in che modo influisce? La ridotta pressione parziale di ossigeno nell’aria, provoca una minor saturazione dell’emoglobina (in altre parole, nel sangue circola meno ossigeno) che genera un feedback (segnali afferenti) che letto dal SNC, provoca una limitazione della contrazione muscolare in condizione di resistenza. Infatti, in quota è stato visto che i livelli di lattato (che dimostrano l’attivazione muscolare intensa) rimangono più bassi, indice che i muscoli (in sforzi di endurance) non vengono sollecitati al massimo delle loro potenzialità per evitare che l’integrità metabolica dei tessuti venga compromessa. Ovviamente l’acclimatazione alla quota permette all’organismo, nel tempo, di adattarsi fisiologicamente alla situazione, migliorando la capacità di svolgere lavoro fisico in altitudine. Nel nostro post dedicato all’allenamento e alla corsa in quota potete vedere un’ampia disamina sull’argomento.

·             ALTRE CONDIZIONI: altre condizioni fisiologiche che provocano questo tipo di fatica sono l’ipertermia (è evidente che quando è caldo, l’entità delle performance di resistenza sia inferiore), disidratazioneipoglicemia (riduzione zuccheri nel sangue), deplezione glicogenocelebrale o epatico, alterazione di alcuni neurotrasmettitori, ecc. È ovvio che determinate condizioni siano maggiormente evidenti con il prolungarsi dell’esercizio piuttosto che all’inizio dello sforzo!

Appare quindi ovvio che l’allenamento e l’acclimatazione alle situazioni specifiche che vengono affrontate in gara, rappresentano il mezzo principale per affrontare le condizioni che più si discostano dalla norma.

FATICA COSCIENTE
(motivazione/demotivazione, “fattore campo”, adrenalina, ecc.)

A pari condizioni di forma, lo stesso tipo di performance può avere intensità diverse a causa delle condizioni motivazionali del soggetto. L’esempio più lampante è il “fattore campo” negli sport di quadra. Per chi pratica sport di endurance è altrettanto evidente come in gara si riescano a tollerare sforzi atletici di intensità/durata leggermente superiori rispetto all’allenamento. Altre condizioni studiate recentemente, sono quelle relative all’ascolto della musica o alle condizioni di affaticamento in situazione di impegno cognitivo.


Se gli aspetti appena citati sono abbastanza ovvi, oggi si sta approfondendo sempre più un altro ramo della fatica cosciente, cioè quello relativo alla REGOLAZIONE ANTICIPATORIA DELLA PERFORMANCE. Senza addentrarci eccessivamente in un ramo della fisiologia abbastanza complesso (nell’immagine sotto è possibile vedere uno schema tratto dalla ricerca di Tucker 2009), possiamo affermare che il SNC non modula l’attivazione dell’intensità motorio solamente in base ai segnali afferenti, ma anche in base alla “stima” del lavoro fisico che andrà ad effettuare. Tale “stima”, rappresenta un’ipotesi (inconscia) del lavoro fisico che si andrà ad effettuare in base all’esperienza che si è costruita in passato; tale meccanismo influenza la percezione dello sforzo e di conseguenza la modulazione dell’intensità.


A questo tipo di conclusioni si è arrivati tramite diverse sperimentazioni in cui venivano date diverse informazioni (giuste o sbagliate) ai soggetti durante la pratica fisica per vedere la loro risposta. Tali informazioni erano relative all’intensità, alla durata dello sforzo, a quanto mancava alla fine dello sforzo, ecc. Tale effetto è maggiormente evidente quanto più si ha esperienza nel tipo di sforzo/gara considerata. Ma andiamo ora a fare un esempio più concreto grazie alla ricerca di Billat e coll 2006, in cui venne analizzato il costo metabolico (consumo di ossigeno) in un test massimale sui 10 Km (podisti amatori) corso inizialmente a con gestione libera dello sforzo e poi a passo costante (ricavato dal miglior tempo ottenuto a passo libero). Nell’immagine sotto è possibile vedere l’esito della ricerca.


A passo libero, il consumo di ossigeno medio (Vo2) è di 48 ml/Kg/min, mentre a passo costante (impiegando lo stesso tempo) è di 53 ml/Kg/min. Questo significa che impostando l’andatura “a sensazione”, a pari tempo finale, si consuma meno ossigeno rispetto ad un’andatura “fissa costante”. Infatti, correndo a sensazione, si tende a partire leggermente più forte, calare leggermente nel terzo/quarto di gara, per poi accelerare verso la fine; probabilmente questa è la condizione ideale per minimizzare lo stato di fatica in relazione al consumo energetico (Vo2). Il meccanismo inconscio che determina questo atteggiamento è la sopra citata REGOLAZIONE ANTICIPATORIA DELLA PERFORMANCE. È ovvio che, per la maggior parte dei podisti, sia più facile che ciò avvenga in una gara di 10 Km piuttosto che in una maratona (distanza sulla quale si ha meno pratica). Questo spiega perché atleti esperti riescono ad ottimizzare la strategia di gara (distribuzione dello sforzo) in maniera migliore rispetto ad altri.


CONCLUSIONI ED APPLICAZIONI PRATICHE
Possiamo quindi riassumere il concetto di fatica come un aspetto fisiologico che permette di evitare che venga compromessa l’integrità dell’organismo. Questa si esplica a più livelli (periferico, centrale e conscio) in cui una significativa importanza lo riveste anche la motivazione e l’esperienza inconscia della disciplina specifica.
La specificità dell’allenamento, supportata da un buon sviluppo generale delle qualità dell’atleta, rappresenta la chiave di un allenamento ottimale. Ma andiamo ora a sfatare un mito ancor molto radicato sulla fatica
“Ho le gambe dura dall’acido lattico da ieri”
L’acido lattico è una sostanza prodotta dalla cellula muscolare in seguito all’attivazione della glicolisi; quest’ultima è una via metabolica particolarmente attiva durante sforzi intensi, provocando una quota elevata di acido lattico che in parte si riversa dalla cellula muscolare al sangue (ed essendo quindi misurabile). Questo ha portato, nello scorso secolo, a ipotizzare che la presenza di questa sostanza fosse la causa della fatica. Niente di più sbagliato, e vi spieghiamo il motivo:
inizialmente si credeva che l’acido lattico portasse un livello di acidità tale nel muscolo e nel sangue da comprometterne l’omeostasi (equilibrio fisiologico) e indicendo la fatica. Come abbiamo visto sopra e nel precedente post, la fatica è un fenomeno multifattoriale e l’acidosi muscolare che si presenta durante sforzi intensi, è prevalentemente dovuto ad altri metaboliti (ma non all’acido lattico). In sforzi intensi e prolungati invece l’acidosi è prevalentemente dovuta alla produzione di anidride carbonica (CO2) nei muscoli che si trasforma in bicarbonato (Lindinger 2003).
Non solo, l’acido lattico, ha un’emivita media di 30’…cioè dopo ogni 30’ si dimezza la sua concentrazione; di conseguenza, è impossibile che il giorno successivo allo sforzo sia presente ancora in quota elevata (una quota basale è sempre presente).
La sensazione di “mal di gambe” il giorno successivo allo sforzo, è dovuto alla fuoriuscita di materiale cellulare dalle membrane (le cui cause le potete vedere nell’immagine sotto) e dall’attività delle cellule del sistema immunitario richiamate che stimolano le terminazioni nervose responsabili del dolore muscolare.
  


 “I grassi bruciano al fuoco dei carboidrati”
Questo non è un luogo comune, ma un reale e fondamentale aspetto delle discipline di durata. Credo che qualsiasi atleta che pratica sport di resistenza si sia prima o dopo scontrato contro il “muro” (i maratoneti lo chiamano il “muro del 30° Km”). Quando abbiamo parlato di fatica periferica abbiamo visto che quando le riserve di glicogeno muscolare si abbassano sotto un certo livello, non si riescono a tenere più ritmi intensi. L’abbassamento ulteriore dei livelli ematici di glucosio (glicemia) inibisce anche la possibilità di tenere ritmi medi (fatica centrale). Eppure, si potrebbe esser portati ad ipotizzare di poter tenere ritmi medi grazie al consumo dei grassi, che sono un substrato energetico importante (con disponibilità fisiologica praticamente infinita) quando si tengono intensità non elevate.


Nella figura sopra è presentata la parte finale (che è in comune) dei metabolismi di Carboidrati/Grassi/Proteine, cioè il Ciclo di Krebs. Un elemento fondamentale affinchè questa via metabolica funzioni, è l’ossalacetato (oxalocetate in Inglese); questa molecola deriva dal metabolismo dei carboidrati (glicogeno/glucosio, vedi freccia rossa). È quindi evidente che in condizioni di deplezione di glucosio/glicogeno, la produzione di ossalacetato sarà limitata (perché deriva primariamente dal metabolismo dei carboidrati) a tal punto da rallentare la metabolizzazione dell’Acetyl-Coa (vedi immagine sopra) in Citrato e di conseguenza il metabolismo dei grassi a scopo energetico.  Come evitare quindi di sbattere contro il muro?

·     Presentarsi a gare lunghe ed impegnative solo se adeguatamente preparati; abbiamo dedicato diversi post alla maratona, compreso un interessante studio su podisti amatori svolto in Italia.

·    Seguire una dieta adeguata, prestando attenzione al carico di carboidrati pre-gara (carbo load). Ricordiamo che il carico di carboidrati è efficiente tanto più l’organismo è in grado di stoccare carboidrati (glicogeno); ciò dipende dalla capacità aerobica dell’atleta.

·  Adottare un’adeguata strategia di integrazione in gara a base di carboidrati (zuccheri); Asker Jeukendrup (uno dei maggiori studiosi sull’argomento) consiglia circa 30 g/h (grammi/ora) per sforzi compresi tra 1-2 ore, e 60-90 g/h per sforzi di lunghezza superiore alle 2 ore. È fondamentale ricordare che l’allenamento a sforzi di durata deve comprendere anche l’allenamento dell’organismo a tollerare l’ingestione di zuccheri sottosforzo, per evitare effetti collaterali il giorno della gara. Come per il carico di carboidrati, la capacità di sfruttare al meglio l’integrazione in gara, dipende dalla capacità aerobica.







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