domenica 25 settembre 2016

STRETCHING E PERFORMANCE: MEDICINA BASATA SULLE EVIDENZE O MEDICINA BASATA SULLE OPINIONI ?



Lo stretching funziona davvero nel ridurre il dolore muscolare dopo l’esercizio fisico? L’ultimo articolo della Speciale Rubrica dedicata alle Evidenze Scientifiche nello Sport affronta uno dei temi più discussi in ambito sportivo.

Quella dello stretching è una pratica molto comune tra gli sportivi, in generale di tutte le discipline e in particolare di quelle che richiedono un’elevata elasticità motoria.
Molti atleti e addetti ai lavori (preparatori atletici in primis) suggeriscono “l’allungamento muscolare” prima o dopo l’attività fisica per prevenire gli infortuni, ridurre i dolori muscolari post-allenamento o migliorare la performance.

Ma è possibile affermare che questa pratica sia davvero utile?
Per dare una risposta al quesito clinico, come per altri quesiti in campo sanitario, sono possibili tre strade diverse:
  1. affidarsi al parere “degli esperti”, cioè al pensiero e alla conoscenza di chi “dovrebbe saperne” in merito
  2. fare come fanno tutti o come si è sempre fatto (quindi affidarsi all’esperienza)
  3. affidarsi ai principi della Medicina Basata sulle Prove di Efficacia, che è il risultato delle migliori evidenze scientifiche disponibili al momento (studi scientifici di buona qualità provenienti dalla ricerca) e unitamente all’esperienza del clinico tiene in considerazione anche i valori del paziente.
Se ci affidassimo soltanto ai pareri degli esperti, rischieremmo di ottenere delle informazioni parziali e molto probabilmente non aggiornate: ogni anno vengono pubblicati oltre 3 milioni di articoli da un numero non precisamente quantificabile di riviste scientifiche (probabilmente superiore al milione). E’ evidente come sia poco probabile immaginare che la sola esperienza clinica e formativa dei singoli “esperti” possa riuscire ad essere costantemente aggiornata sui temi sanitari che ci si trova ad affrontare, per cui il giudizio clinico, da solo, non può ritenersi sufficiente.

Di contro, se il paziente agisse basandosi soltanto sulle proprie convinzioni o sul “sentire comune”, non avrebbe alcuna garanzia di imparzialità e di obiettività scientifica. Nelle decisioni in campo sanitario è grave la condotta dei tecnici e dei professionisti quando è basata unicamente sul sapere comune e sulle consuete abitudini.
Howard Haggard, nella “Storia dell’errore umano”, nel 1941 affermava nel capitolo “L’errore in medicina” come “l’errore più persistente in questo campo sia la tendenza ad accettare le opinioni correnti come verità definitive”.

Per citare un importante ricercatore italiano, Alessandro Liberati, presidente fino alla sua morte del Centro Cochrane Italiano“i medici hanno sempre teso a considerare il proprio officio art-based anziché science-based. E così molto più dell’arte potè l’arbitrio. Per secoli, in pratica sino alla metà del Novecento” .
La metodologia della Medicina Basata sulle Prove di Efficacia, nata ufficialmente nel 1992 con la pubblicazione del primo editoriale su un’importante rivista americana, si prefigge invece lo scopo di sopperire, tramite l’integrazione della ricerca, dell’esperienza e dei valori del paziente, alle carenze dell’approccio che tradizionalmente è stato adottato in medicina per rispondere ai quesiti clinici.

In sostanza una medicina basata sulle prove (Evidence-Based), piuttosto che sulle opinioni (Opinion-Based).

Dovendo rispondere alla domanda iniziale, se lo stretching sia davvero efficace del ridurre i dolori muscolari dopo l’attività sportiva, potrei parlare a titolo personale sulla base della mia esperienza clinica di fisioterapista e sportiva di ciclista e runner, oppure affidarmi ai “risultati” ottenuti con i pazienti e ai loro racconti. Il risultato sarebbe però del tutto autoreferenziale e fortemente influenzato proprio da quell’ “arbitrio” cui faceva riferimento Liberati.

Per fornire una risposta imparziale a chi chiede se lo stretching “funzioni o meno” bisognerebbe innanzitutto rispondere con quello che attualmente sostiene la comunità scientifica, analizzando le ricerche più aggiornate e di elevata qualità, utilizzate in modo coscienzioso e giudizioso, integrandole con l’esperienza professionale del clinico (soprattutto laddove la ricerca mostra ancora dei limiti) e con le aspettative e i valori del paziente (atleta in questo caso).

Evidenze scientifiche sullo stretching 
Da una Revisione Sistematica della Letteratura Cochrane* del 201l spicca l’analisi di 12 studi clinici che hanno valutato l’effetto dello stretching prima, dopo, o prima e dopo l’attività fisica.
Tale analisi ha evidenziato come lo stretching non abbia alcun effetto clinicamente rilevante, o effetti molto limitati, sul dolore muscolare che insorge nella settimana in cui si pratica sport.
Proviamo quindi a rispondere ad alcuni quesiti molto comuni sulla base dei risultati emersi.

  • Lo Stretching migliora la performance ?

Secondo la revisione sistematica con meta-analisi (una tecnica statistica per calcolare l’effetto globale di più studi) di Simic e colleghi del 2013, lo stretching statico, eseguito come tecnica di riscaldamento, andrebbe generalmente evitato perché è stato visto influenzare negativamente la prestazione in termini di forza (-5.4%), potenza (-1.9%) ed esplosività (-2%), indipendentemente dal sesso, dall’età, e dal livello di preparazione atletica. I risultati negativi erano minori (anche se non assenti) se lo stretching veniva mantenuto per meno di 45 secondi.

La flessibilità muscolare secondo uno studio di O’Sullivan e colleghi non è un fattore così determinante nella performance atletica come siamo stati abituati a pensare e inoltre la flessibilità muscolare stessa può essere ottenuta anche diversamente dal classico stretching. Secondo una revisione della letteratura di Behm e colleghi (2011), lo stretching statico ha un effetto deleterio sulla prestazione se eseguito prima, ad esempio nel riscaldamento. Questa tipologia di stretching in allungamento statico andrebbe ad indurre delle modifiche nell’adattamento muscolare che possono influenzare la funzione tipica del muscolo che invece è in allungamento-accorciamento, manifestando le problematiche maggiori nella diminuzione della forza o della massima potenza muscolare.

E’ stato visto invece che può avere degli effetti sull’escursione articolare se utilizzato in una sessione diversa da quella dell’allenamento: produrrebbe in sostanza una maggiore sensazione di “libertà nel movimento”. Se effettuato per una durata di secondi limitata può non interferire sulla prestazione atletica, soprattutto se si tratta di atleti ben allenati.

Lo stretching dinamico invece potrebbe non avere effetti negativi sulla performance (o in misura ridotta), soprattutto se eseguito per un periodo prolungato. Potrebbe inoltre andare a compensare gli effetti negativi dello stretching statico se effettuato dopo di questo e seguito ulteriormente da alcuni minuti di riscaldamento.
Particolare attenzione andrebbe posta se si decidesse di implementare lo stretching statico, di qualsiasi durata, se lo sport coinvolto prevede contrazioni rapide, alte velocità o se è  necessaria esplosività ed elevate forze di reattività, soprattutto laddove ogni minima variazione negativa della performance può risultare determinante (come nel caso degli sport di velocità). In questi casi il riscaldamento dovrebbe essere impostato con esercizi diversi.
Gli autori sconsigliavano quindi di praticare stretching, soprattutto statico, prima di sessioni alta intensità, di forza o esplosività come potrebbero essere le ripetute.

E’ consigliato invece optare per lo stretching, data la sensazione generale di benessere che produce a seguito dell’aumentata articolarità, nella fase del defaticamento o in una sessione indipendente, lontana dagli allenamenti o dalle gare, per raggiungere un cambiamento più stabile nella flessibilità muscolare soggettiva.

  • Lo Stretching previene gli infortuni?

 Anche in questo caso i risultati della ricerca scientifica non sembrano deporre a favore dello stretching che non si è dimostrato efficace nel ridurre il rischio di infortuni. Per raggiungere questo obiettivo, così come nel miglioramento della prestazione atletica, sono maggiormente indicati dei programmi specifici di rinforzo.

Nella revisione della letteratura di Small e colleghi del 2008, dei 7 studi analizzati, soltanto uno dimostrava una riduzione del numero totale degli infortuni; 4 studi erano concordi nello stabilire che lo stretching non riducesse la percentuale degli infortuni e 3 invece avevano notato una riduzione nella sola tipologia degli infortuni muscolari e legamentosi: tuttavia non si riduceva il numero totale degli infortuni. Gli autori dello studio concludevano che l’evidenza sull’inefficacia dello stretching era di livello moderato/forte.

La revisione della letteratura di Lewis del 2014 va in direzione leggermente diversa, ma gli articoli analizzati riguardavano l’utilizzo concomitante di strategie di riscaldamento e quindi il possibile effetto negativo dello stretching può essere stato in qualche misura mitigato da altre tecniche di riscaldamento: non vi era quindi un effetto negativo dello stretching, riguardo la prevenzioni degli infortuni, ma nemmeno un effetto positivo in quanto le evidenze erano inconclusive. I migliori risultati sembravano esserci quando si optava per un programma personalizzato e sport-specifico che comprendesse sia lo stretching che un opportuno e specifico riscaldamento.

Più che lo stretching in se quindi, per quanto riguarda la prevenzione degli infortuni, è opportuno impostare degli esercizi mirati, specifici e individuali, sulla base dello sport praticato e dell’atleta: in questi casi, quando le evidenze scientifiche sono limitate o non esaustive, è giusto e opportuno tenere in considerazione anche le specifiche abitudini o sensazioni riscontrate dai pazienti stessi (uno dei principi della Medicina Basata sulle Prove di Efficacia).

  • Lo Stretching serve davvero per “allungare” i muscoli? 

Anche questo “mito” è stato messo in discussione con un recente studio di Konrad e colleghi, i quali hanno testato un programma di “allungamento” di 6 settimane per il polpaccio e il tendine d’Achille su 49 volontari. Lo scopo era quello di verificare se ci fossero reali cambiamenti nell’escursione articolare dei distretti anatomici interessati e se questi fossero dovuti realmente ad un cambiamento di tipo strutturale. I risultati dello studio hanno confermato come ci siano dei miglioramenti significativi nel movimento ma non nella forza, ne tantomeno della struttura muscolo-tendinea. I cambiamenti indotti dallo stretching quindi, secondi gli autori dello studio, non potrebbero essere spiegati da modifiche strutturali quanto piuttosto è stata ipotizzata una maggior tolleranza all’allungamento, indotta dall’adattamento delle terminazioni nervose.

Risultati confermati anche da un successivo studio sempre dello stesso gruppo di ricerca, in cui si notava sempre un miglioramento del movimento e una riduzione della rigidità del tendine, ma la resistenza opposta dal complesso mio-tendineo rimaneva invariata.

  • Cosa succede nel Running ?

Lo studio più recente è quello del gruppo giapponese di Yamaguchi e colleghi (2015) che hanno dimostrato come un gruppo di runner che eseguiva una serie di 10 ripetizioni di stretching dinamico, più velocemente possibile, per i 5 gruppi muscolari principalmente impegnati nella corsa, avesse una performance migliore nei test eseguiti su tapis roulant. Tradotto in numeri, questi atleti correvano circa 700m in più e impiegavano circa 2 minuti e mezzo in più prima di arrivare a esaurimento muscolare, anche se non cambiava la VO2max come indice di efficienza della corsa. Risultati promettenti quindi, che però vanno analizzati con cautela perché il campione studiato era molto esiguo (solo 7 soggetti) e perché uno studio precedente del 2014 (Zourdos e coll.) dimostrava invece il contrario.

Due studi (uno del 2011 e uno del 2014) hanno dimostrato invece come lo stretching statico non modificasse ne il tempo impiegato per correre i 3000 metri ne l’efficienza della corsa: solo i primi 100 metri venivano corsi con una velocità significativamente inferiore. La funzione neuromuscolare risultava però alterata in termini di attivazione elettromiografica dei gruppi muscolari dell’arto inferiore. Allo stesso modo peggiorava l’economia di corsa, con un aumento del tempo di contatto e un ampiezza del movimento (due fattori che sono stati studiati ridurre la performance e predisporre agli infortuni) maggiori, rispettivamente, del 2% e dell’11%. Peggiorava inoltre anche l’altezza totale nel test del salto del 9%.

Addirittura uno dei primi studi sullo stretching applicato ai runner (Wilson, 2010) dimostrava come la performance fosse addirittura migliore (seppur di soli 200 metri) in chi non avesse fatto stretching, e in aggiunta aumentava anche la spesa energetica misurata in Kcal.
Risultati confermati anche da Lowery e colleghi nel 2013 che sconsigliavano di eseguire lo stretching statico prima di una performance, anche di breve durata: questo gruppo di ricercatori aveva testato gli atleti sul miglio in salita al 5% e la riduzione della performance registrata era dell’8%.

Nessun cambiamento nemmeno nella biomeccanica del gesto atletico se lo stretching statico dei flessori posteriori della coscia, era eseguito prima della corsa (Hammonds, 2012).

CONSIGLI PER I RUNNER: 

– Lo stretching, soprattutto quello statico, andrebbe evitato prima degli allenamenti e delle competizioni, sia aerobiche che anaerobiche, sia di breve che di lunga durata.  

– Si può optare per lo stretching dinamico, qualora questo fosse ben tollerato dall’atleta e producesse delle sensazioni positive durate la corsa  

– Lo stretching statico può essere effettuato lontano dagli allenamenti e dalle corse, in una specifica sessione d’allenamento dedicata, oppure al termine della corsa stessa, nella fase di defaticamento.  

– Per ottimizzare la performance e ridurre il rischio di infortuni, è più opportuno eseguire un programma specifico di riscaldamento pre-gara e di rinforzo muscolare durante la settimana
Una corretta informazione scientifica aiuta i clinici ma soprattutto i pazienti nel prendere decisioni consapevoli e sicure in ambito sanitario; lo scopo di questa serie di commenti agli articoli della Cochrane UK è proprio quello di informare i pazienti e in particolare gli sportivi: per dirla con la frase d’esordio dell’articolo pubblicato sul sito dell’ente britannico: “per tutti coloro che ambiscono al podio o anche solo al parco giochi” !




Antonello Viceconti
Fisioterapista, Terapista Manipolativo Ortopedico. Laurea Magistrale delle Professioni Sanitarie. Università degli Studi di Genova


Fonte: Trailrunning.it

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