La comprensione dei metabolismi energetici, del controllo del movimento e dell’origine della fatica sono elementi fondamentali per comprendere la performance sportiva e l’allenamento. Con questo post (e il prossimo) cercheremo di rendere comprensibili questi concetti a tutti, in maniera tale da migliorare la consapevolezza del proprio allenamento (per chi è atleta) e dei protocolli proposti (per chi allena).
Non mancheranno i risvolti applicativi, come alcuni riferimenti alla metodologia d’allenamento, all’alimentazione a all’integrazione alimentare. Per andare in ordine d’importanza, partiamo da dove ha origine il movimento, cioè dal Sistema Nervoso Centrale
“CHI” DETERMINA IL MOVIMENTO?
- La scrittura di un messaggio sullo smartphone richiede precisione ed attenzione dei movimenti al fine di comporlo nel migliore dei modi. Il controllo di questo tipo di movimento è affidato prevalentemente alle parti più alte (vedi figura sotto) del Sistema Nervoso Centrale (SNC).
- Facciamo ora l’esempio di 2 persone che stanno chiaccherando mentre corrono; è chiaro comprendere come il gesto della corsa (in questo caso) necessiti di minore precisione ed attenzione. Il controllo di questo gesto infatti è a livelli leggermente inferiori del SNC, cioè quelli deputati al controllo degli automatismi (cioè i gesti che richiedono meno controllo ed attenzione).
La nostra è ovviamente una semplificazione, in quanto ogni movimento ha in sé una parte che richiede maggior attenzione e una che richiede maggior automatismo, ma questo approccio ci permetterà di comprendere meglio i prossimi paragrafi. Questo approccio spiega anche in maniera abbastanza evidente l’importanza dell’allenamento funzionale come una metodologia di potenziamento che mette al primo posto il movimento rispetto ai singoli muscoli.
Se il SNC riconosce i movimenti nel loro insieme (cioè l’azione sinergica dell’insieme dei gruppi muscolari) e non i singoli muscoli, allora anche il potenziamento muscolare deve riflettere questa linea guida (vedi allenamento funzionale)
L’ATP, CIOE’ LA MONETA DI SCAMBIO TRA IL MOVIMENTO E I METABOLISMI
I METABOLISMI ENERGETICI DEPUTATI AL RIPRISTINO DELL’ATP
Com’è possibile vedere nella figura sopra, per produrre energia l’ATP (adenosina trifosfato) si scinde in 2 molecole più semplici, cioè: ADP (adenosina difosfato) + Pi (fosfato). Per ristabilire i livelli di ATP consumati, i metabolismi energetici rispristinano il legame tra l’ADP e il Pi, riformando l’ATP. È ovvio che i metabolismi energetici devono essere in grado di supportare sforzi brevi ed intensi (come un salto o un lancio), ed allo stesso tempo sforzi prolungati e di bassa intensità. In altre parole, per mantenere i livelli di ATP costanti (perché la cellula muscolare ne è gelosa) i metabolismi devono essere in grado di rispristinarli in diverse condizioni di durata ed intensità fisica.
Per questo motivo, i metabolismi sono 3 e in base alle loro caratteristiche sono in grado di coprire il fabbisogno di ripristino dell’ATP. Sopra è rappresentata una tabella semplificata dei 3 metabolismi principali. Quello aerobico sfrutta l’ossigeno per produrre energia (cioè ATP), ed è il responsabile principale negli sforzi oltre una certa durata; i metabolismi anaerobici invece sono i responsabili principali negli sforzi brevi e non utilizzano l’ossigeno. Appare evidente, che i metabolismi che non utilizzano l’ossigeno abbiano una capacità (cioè una durata di produzione di energia) limitata. Nel grafico sotto è possibile vedere il coinvolgimento dei vari metabolismi in riferimento alla durata dell’esercizio.
Ma perché il sistema aerobico è così lento? Semplicemente perché affinchè l’ossigeno arrivi dai polmoni alla cellula muscolare, deve attraversare il sistema cardiocircolatorio, determinando un’inerzia(cioè una “lentezza” nell’attivazione) che viene compensata dalla velocità dei metabolismi anaerobici. Ovviamente la nostra è una semplificazione, ma spero sia chiaro come i metabolismi energetici della cellula siano strutturati per soddisfare l’esigenza del muscolo di produrre energia.
LA FATICA
l’incapacità di mantenere durante lo sforzo l’intensità aspettata/voluta
Centrale, Sistema Nervoso Periferico, od altro?
La risposta non è semplice e cercheremo di approfondirla (seppur in maniera chiara a tutti) nei prossimi paragrafi. Non solo, nell’ultima parte del post cercheremo anche di fare importanti esempi che riguardano l’allenamento, dieta ed integrazione.
Le ricerche scientifiche degli ultimi anni hanno sempre più confermato quello che è possibile definire il modello tridimensionale della fatica; questo approccio permette di comprendere come siano diversi i meccanismi fisiologici coinvolti nella fatica, proprio per la complessità del corpo umano.
Nella figura a fianco, è possibile vedere i 3 livelli sui quali agiscono i meccanismi della fatica; cerchiamo ora di comprenderli con dei facili esempi.
FATICA PERIFERICA
Appare evidente che questo tipo di fatica sia coinvolta a livello del muscolo (e non del sistema nervoso); è possibile ipotizzare che le cause in sforzi particolarmente intensi e brevi siano:
- Alterazione del ph cellulare: un muscolo al massimo della propria intensità produce una serie di scorie in grado di alterare il ph (cioè l’equilibrio acido/base); questo fenomeno è dannoso per la vita della cellula muscolare, e di conseguenza provoca un’inibizione della contrazione (e quindi del lavoro muscolare) per limitarne i danni.
- Incremento di alcuni metaboliti: molte sostanze/scorie prodotte nel muscolo durante contrazioni intense, anche se non vanno ad alterare il ph, rappresentano comunque una “minaccia” all’equilibrio cellulare, determinando un rallentamento dell’intensità. Alcune delle sostanze il cui equilibrio può rimanere temporaneamente compromesso sono il calcio, l’ammonio, il potassio, ecc.
- Incapacità di risintetizzare l’ATP: come abbiamo detto sopra, la cellula è particolarmente gelosa dell’ATP. Infatti questo (anche in condizioni di fatica) non cala mai più del 30-40%, a testimoniare la presenza di meccanismi cellulari in grado di ridurre la contrazione nel caso in cui questa scenda oltre un certo livello.
- Riduzione flusso ematico: malgrado il muscolo sottosforzo tenda ad incrementare il flusso di sangue per smaltire le scorie e portare sostanze nutritive ed ossigeno, esistono condizioni che possono limitare il flusso. È il caso di alcune discipline come lo sci alpino (sopratutto Gigante, SuperG e Discesa) in cui il muscolo in curva rimane particolarmente contratto, limitando parzialmente il flusso di ossigeno e lo smaltimento delle scorie di cui abbiamo parlato nei punti sopra.
- Riduzione del glicogeno muscolare: il glicogeno è un carboidrato endogeno (cioè presente nel corpo) formato da molecole di glucosio, cioè la molecola fondamentale per il funzionamento del meccanismo anaerobico lattacido e aerobico (vedi sopra). Quando questo scende sotto un certo livello (solitamente in sforzi di lunga durata), il muscolo limita la propria intensità.
- Disidratazione squilibrio di alcuni metaboliti: una produzione di energia per tempi particolarmente prolungati (corsa di resistenza, ciclismo su strada, ecc.) genera non solo una perdita di liquidi con la sudorazione, ma anche un’alterazione dell’equilibrio di diverse sostanze cellulari. Infatti, alcune sostanze aumentano di concentrazione (come l’ammoniaca), mentre altre (come il magnesio e il potassio) diminuiscono alterando l’equilibrio muscolare e di conseguenza inibendone l’intensità.
APPLICAZIONI PRATICHE: appare evidente che questo tipo di fatica (che si localizza a livello della cellula muscolare), non è altro che un meccanismo di protezione messo in atto per evitare che la struttura cellulare venga compromessa. È ovvio che l’allenamento è il miglior modo per migliorare la struttura della cellula muscolare e di conseguenza evitare che la fatica comprometta precocemente la performance.
Ma l’integrazione e l’alimentazione possono aiutare l’allenamento a ritardare l’insorgenza della fatica?
In linea di massima un’alimentazione salutare è in grado di mettere l’organismo nelle condizioni ideali, ma in alcuni casi è consigliabile ottimizzare/massimizzare le proprie risorse di glicogeno per evitare che in determinate discipline (maratone, ultramaratone, gare ciclistiche, ecc.) si esauriscano le scorte energetiche portando precocemente alla fatica. In questi casi si tende a preferire, i giorni prima della gara, una dieta con una percentuale di carboidrati (che sono la fonte alimentare del glicogeno) leggermente superiore alla norma. Anche durante gare lunghe (superiori all’ora) si tende ad integrare durante la gara con sostanze a medio/basso contenuto di carboidrati per evitare che il glicogeno muscolare scenda sotto certi livelli (vedi figura sotto). Di come modulare l’alimentazione in funzione di una maratona ne parleremo in un post successivo, ma comunque potete trovare un’ampia dissertazione leggendo questo testo di Roberto Albanesi.
Altri integratori possono essere utili per contrastare l’insorgenza della fatica in discipline/sforzi di minor durata?
Probabilmente alcune sostanze (come creatina, beta-alanina, nitrati inorganici, caffeina, ecc.) possono in alcuni casi e per alcuni soggetti essere efficaci, ma è consigliabile sempre un consulto di personale medico prima di iniziare ad utilizzarli (vedi anche il nostro approfondimento sull’alimentazione).
CONCLUSIONI ALLA PRIMA PARTE
Chiudiamo qui la prima parte dedicata ai metabolismi energetici e alla fatica; speriamo che alla fine di questo post, sia attualmente chiaro:
1. Il controllo del movimento avviene a più livelli del SNC (Sistema Nervoso Centrale) a seconda del livello di attenzione e precisione del gesto.
2. I metabolismi energetici sono 3 e permettono di coprire, in termini di potenza e durata, la necessità di risintetizzare l’ATP (cioè la moneta di scambio) consumata nel muscolo.
3. La fatica è un meccanismo protettivo naturale del corpo per evitare che venga compromessa l’integrità dello stesso. Un corretto allenamento (soprattutto), una dieta ottimale ed in alcuni casi, un’integrazione appropriata, sono in grado di migliorare le performance sportive ritardando l’insorgenza della fatica.
Fonte: MisterManager.it
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