Nel corso della storia della metodologia dell’allenamento, sullo stretching (o allungamento muscolare) si sono viste diverse posizioni, dalle più critiche alle più entusiaste; tutto questo avveniva a seconda degli esiti delle ricerche scientifiche che, di anno in anno, si susseguivano. Con l’avvento dell’allenamento funzionale, la conoscenza su questo argomento, si è potuta convergere verso la direzione più costruttiva e sintetica possibile, cioè la funzionalità! Per questo, d’ora in avanti, abbiamo deciso di utilizzare il termine Allungamento funzionale tutte le volte che con l’allenamento si va ad agire sulla capacità delle catene muscolari non solo di “estendersi”, ma anche di gestire le posizioni di allungamento tipiche della disciplina praticata con disinvoltura (efficacia, rendimento atletico e benessere). Questo post è quindi rivolto agli allenatori, istruttori, atleti ed amanti del fitness che vogliono migliorare la conoscenza sull’argomento ed avere i mezzi per gestire i propri “movimenti allenanti” nella direzione più funzionale possibile alla propria disciplina e al proprio benessere.
ALLUNGAMENTO
FUNZIONALE E FISIOLOGIA
Prima di passare all’aspetto pratico
dell’argomento, credo sia giusto fare un semplice (e comprensibile a tutti)
cenno alla fisiologia dell’allungamento. Nel post dedicato all’allenamento funzionale, abbiamo
approfondito 2 aspetti molto importanti:
· I muscoli e le fasce connettivali sono concatenati da
legami e tensioni che portano al riconoscimento di diverse catene
muscolari come quella posteriore, quella estensoria, quella
flessoria, ecc.
Infatti, all’interno del corpo umano,
abbiamo i muscoli della statica, i muscoli della dinamica e le fasce
connettivali; questi sono embricati tra di loro (cioè sovrapposti ed
organizzati) in diverse catene muscolari,
che possiamo definire come un insieme di muscoli e tessuti
responsabili di determinate direzioni di forza (movimenti).
· Il cervello umano riconosce il movimento
delle catene muscolari e non le azioni solate di un singolo
muscolo.
Questo significa che anche
l’allungamento muscolare, cioè che i movimenti utilizzati per l’allungamento,
affinchè diventino efficaci devono coinvolgere le catene
muscolari nel loro complesso. Infatti, il grado di allungamento
di una catena muscolare (cioè quanto riusciamo ad essere flessibili), non è
altro che la conseguenza dell’effetto diretto delle posizioni maggiormente
assunte in allenamento. In altre parole, è l’insieme di tutti gli stimoli
allenanti a determinare l’allungabilità di una catena
muscolare, l’efficienza e la precisione dei gesti ad angoli articolari estremi.
Spero che adesso sia più chiaro
comprendere come per gestire angoli articolari estremi della propria disciplina
(o solamente della vita quotidiana) è necessario allenarsi a determinati
angoli, e non solo “allungare” le catene muscolari.
PERCHÈ
UN MUSCOLO FATICA AD ALLUNGARSI?
La risposta più banale potrebbe essere “perché non è sufficiente lungo”; ma
è una risposta ad una domanda che poco ha a che fare con il senso pratico del movimento.
Infatti una domanda più consona (ed interessante) potrebbe essere:
Perché un determinato soggetto non riesce
a gestire l’articolarità e l’efficienza del gesto agli angoli
articolari estremi della propria disciplina (o della vita quotidiana)?
Le cause potrebbero essere diverse:
· Perché ha una o più catene muscolari troppo rigide: la rigidità
solitamente si genera da atteggiamenti posturali che nel
corso della vita vanno ad accorciare le catene muscolari o dal
fatto di avere una semplice vita sedentaria. Ad esempio il classico lavoro “da
scrivania” tende a far accorciare la catena posteriore, non solo a livello
muscolare, ma a livello di tutta la fascia connettivale.
· Perché uno o più muscoli sono troppo deboli: un muscolo debole fa
fatica ad allungarsi, proprio perché esistono dei meccanismi protettivi (del
sistema nervoso centrale) che evitano al muscolo di raggiungere un certo
livello di stress tensivo, che è maggiore tanto più debole è il muscolo. La debolezza di un singolo muscolo, ovviamente si ripercuote su
tutta la catena muscolare, generando difficoltà di natura
coordinative con importanti ripercussioni sulla tecnica.
DALL’ALLENAMENTO
FUNZIONALE ALL’ALLUNGAMENTO FUNZIONALE
Una volta compresi i concetti espressi sopra, è facile comprendere come i
movimenti dell’allungamento funzionale non possono altro che derivare da quelli
dell’allenamento funzionale.
Nell’immagine sopra, sono elencati i
movimenti dell’allenamento funzionale che abbiamo sintetizzato e semplificato
(dalla versione originale) nel post dedicato
all’argomento. Di conseguenza, è ovvio che i movimenti dedicati all’allungamento in ogni
disciplina, andranno presi da questi e dalle loro variabili.
Ma come fare a strutturare un corretto
programma di allungamento funzionale?
Ovviamente (com’è stato per l’allenamento funzionale) il punto di partenza
è sempre il modello funzionale tecnico e biomeccanico di
gara. Una volta individuati gli angoli articolari più “estremi”
della disciplina, le eventuali carenze di natura neuromuscolare che possono
limitare i range articolari e il grado di stabilità/dinamicità richiesta a
determinati angoli, sarà possibile strutturare il corretto programma, da
strutturare sempre con gradualità e progressività.
Ogni disciplina deve quindi avere il suo
protocollo di allungamento, che tiene in considerazione della funzionalità! Nell’immagine sotto, ad esempio, sono
riportati gli allungamenti funzionali di un runner che effettua corsa su
strada; come potete vedere, all’interno di questi è inglobato
anche un protocollo di core stability, che è necessario per la funzionalità del
“core” e di conseguenza per la gestione dei muscoli stabilizzatori e delle “cerniere” tra le varie catene.
Un calciatore invece,
rispetto ad un runner, si trova a dover gestire più movimenti legati ai cambi di direzione e alle rotazioni. Di
conseguenza, l’esempio della figura sopra dovrà essere arricchito da affondi
laterali e in diagonale, meglio se accoppiati a torsioni del busto. Gli stessi
movimenti per la catena posteriore, dovranno essere gestiti anche a catena cinetica aperta, visto il rischio di
infortuni a cui si può andare incontro quando si calcia il palone in condizioni
di affaticamento. Sotto riportiamo alcune domande e risposte che possono
insorgere alla luce di queste considerazioni sull’allungamento funzionale.
· In quale momento dell’allenamento andrebbe fatto
l’allungamento funzionale? A mio parere il momento migliore è
nella parte centrale/finale dei riscaldamento, quando si è
sufficientemente caldi e prima di effettuare la parte intensa dello stesso.
· Alla luce del concetto di allungamento funzionale, lo
stertching “classico” va abbandonato? Se parliamo di “Stretching dinamico”, credo che possa coesistere
con profitto con l’allungamento funzionale in sport di squadra come il calcio.
Personalmente in allenamento, inserisco lavori di stretching dinamico nelle
esercitazioni di rapidità coordinativa, in cui i movimenti
vengono vincolati da attrezzi (ostacoli, coni, nastro, ecc.) e di conseguenza è
possibile (col tempo) richiedere maggiore precisione e velocità.
L’utilità dello “stretching statico” è ormai
relegato alle sole situazioni di defaticamento quando i carichi di lavoro sono
molto elevati (ad esempio durante la preparazione) in relazione alla condizione
di forma; in queste condizioni, l’affaticamento causa un ipertono che è
meglio “rilassare” a fine seduta (se non sono presenti lesioni). Altra
eccezione a mio parere lo può fare il prepartita, per soggetti che
presentano un ipertono dovuto alla tensione pre-gara; in questi casi può essere
utile (soprattutto dal punto di vista psicologico) allungare in maniera blanda
i muscoli percepiti come più “rigidi”.
·
È consigliabile, quando possibile,
individualizzare anche i protocolli di allungamento funzionale? Ovviamente si,
soprattutto in base alla propensione agli infortuni e per i soggetti con una o
più catene muscolari deboli o rigide. In questi casi, è da prendere in
considerazione anche la ginnastica posturale come il Metodo Mezieres (che per prima ha sviluppato il concetto di catena muscolare),
particolarmente mirato al recupero della lunghezza e
dell’estensibilità delle catene; oltre a questo, sono da
considerare anche protocolli di potenziamento muscolare mirati
al rinforzo di catene o compartimenti muscolari deboli. Di conseguenza,
eventuali paramorfismi o dismorfismi devono assolutamente essere inquadrati
nella soggettività dell’atleta, per offrire la metodologia
d’allenamento più appropriata.
· Quali punti in comune e quali differenze hanno
l’allenamento e l’allungamento funzionale? Il maggior punto
in comune sono i movimenti di partenza sui
quali strutturare i protocolli. Ovviamente anche l’effetto allenante in alcune
situazioni può essere sovrapponibile; ad esempio, l’affondo è un ottimo movimento per sviluppare
sia la forza che la mobilità della catena antero/interna. Se invece voglio
lavorare sulla catena posteriore per
allenare la Resistenza muscolare (per migliorare ad esempio nella corsa in salita) utilizzerò il nordic hamstring
stretching, mentre se lo scopo è quello di lavorare sulla mobilità, sfrutterò
il single leg deadlift.
CONCLUSIONI
Il miglioramento dell’articolarità può
avvenire per stimolo intensivo (cioè
accompagnata da lavoro muscolare di varia intensità) od estensivo (senza o con minimo lavoro
muscolare). È ovvio che il primo di questi (intensivo) accoglie meglio il
principio di funzionalità sportiva e di gestione dei movimenti, ed è quindi da
preferire. Solo fondendo la funzionalità e la
specificità con il principio dell’allungamento è possibile
ottenere una gestione del movimento ad angoli articolari estremi tipici della
disciplina praticata.
Fonte: MisterManager.it
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