Autore il Dott. Giulio Sergio Roi, nato a Verona il 14 Ottobre
1953, residente a Bologna, laureato in Medicina e Chirurgia e specializzato in
Medicina dello Sport presso l’Università degli Studi di Milano.
Ha svolto attività didattiche come
professore presso facoltose università italiane, svolge
attività congressuali in Italia e all’estero ed è autore di numerose pubblicazioni su riviste scientifiche nonché
autore di alcuni libri.
Ha collaborato con le principali
federazioni sportive italiane: Scherma (FIS), Sport Invernali
(FISI), Sci Nautico (FISN), Sport del Ghiaccio (FISG) e Triathlon (FITRI).
Il motivo per il quale lo conosciamo
tutti, e per il quale gli siamo grati, è il fatto che sia uno dei soci fondatori della Federazione Sport d’Alta Quota (FSA), poi
diventata ISF (International Skyrunning
Federation) e che attualmente vesta l’incarico di Presidente della Federazione Italiana di Skyrunning (FISKY).
Ha partecipato come responsabile
medico-scientifico alle spedizioni in alta quota in Nepal, Tibet, USA e Mexico,
quando lo Skyrunning era ancora agli inizi.
Dal 2001 dirige l’Education & Research
Department del Gruppo Medico Isokinetic; per oltre 10 anni è stato il responsabile del
laboratorio di Valutazione Funzionale del Centro Marathon di Brescia, diretto
dal Dott. Gabriele Rosa.
Ha partecipato alla preparazione di
numerose imprese sportive tra le quali:
Record del mondo 24 ore pattinaggio
su ghiaccio (squadra Nazionale Italiana, 1993)
Record del mondo dell’ora di
pattinaggio su ghiaccio (Roberto Sighel, 1998)
Record Cervinia-Cima Cervino e
ritorno (Bruno Brunod, 1995)
Record salita all’Aconcagua (Brunod,
Merlati, Pellissier 1999)
Ritorno allo sport in 77 giorni di
Roberto Baggio dopo ricostruzione del LCA (2003)
Conquista dell’Everest da parte
della prima donna italiana (Manuela di Centa, 2003)
Salita al K2 della spedizione degli
“Scoiattoli” di Cortina d’Ampezzo (2004)
Da sinistra: Jean Pellissier, Dott.
Giulio Sergio Roi, Bruno Brunod e Marco De Gasperi, nel 2012 a Cervinia, in
occasione della ricerca scientifica “come respirano gli skyrunner”.
Ma veniamo al suo studio, oggetto
del nostro articolo:
I LIMITI DELLA PRESTAZIONE UMANA IN ALTA
QUOTA: L’ ESPERIENZA DEGLI SKYRUNNERS
di Giulio Sergio Roi
di Giulio Sergio Roi
Oggi tutti sanno che l’uomo può
raggiungere le vette di tutti gli ottomila della Terra respirando solamente
l’aria dell’ambiente, così come si sa che è possibile, con determinate
condizioni di innevamento, scendere sciando da una parete rocciosa verticale,
quale ad esempio il Cervino, così come si sa che in mare è possibile scendere
in apnea oltre i 100 m di profondità. Lo sport competitivo ha oggi delimitato
abbastanza precisamente i limiti della prestazione umana in molte discipline.
Conosciamo infatti i limiti della prestazione nelle corse di velocità, nei
lanci, nei salti, nel ciclismo e in molte altre specialità. In particolare
notiamo che, dove vi sono numerosi praticanti o un qualche interesse economico,
la prestazione-limite è ben conosciuta e può essere solo ritoccata. Restano
però numerosi aspetti della prestazione umana che devono essere ancora indagati.
Ad esempio, fino a qualche anno fa si pensava che non fosse possibile correre a
quote superiori a 4000 m . Oggi sulla base dei dati raccolti durante le
esperienze di gara condotte dagli Skyrunners, i “Corridori del Cielo”, abbiamo
stabilito che la quota limite dove è teoricamente possibile utilizzare la corsa
come forma di locomozione umana, sembra essere circa 7000 m , a patto che
l’atleta sia dotato di un’elevata potenza aerobica. Purtroppo a 7000 m
l’ambiente è troppo ostile ed il freddo e la neve impediranno di verificare sul
campo questa ipotesi. Gli Skyrunners sono il prodotto naturale della storia
della corsa e della storia dell’alpinismo. Infatti, il desiderio di raggiungere
nel più breve tempo possibile la cima di una montagna ha da sempre attratto,
più o meno palesemente, quanti si trovano di fronte ad essa ed in particolare
l’alpinista. Tuttavia la ricerca della massima velocità possibile non è solo un
desiderio fine a sé stesso, ma in molti casi può costituire un fattore di
sopravvivenza. Ecco quindi la corsa dei nostri antenati, come momento
fondamentale della vita quotidiana, dove cacciare, inseguire, o fuggire
diventavano appunto l’espressione dell’istinto di sopravvivenza. Ecco ancora,
fino a pochi anni fa nelle zone montane di confine, la corsa dei
contrabbandieri-spalloni per eludere i controlli doganali e racimolare qualche
spicciolo in più che permettesse loro una migliore esistenza. Ecco ancora la
corsa come mezzo di comunicazione in un ambiente, la montagna, dove per
aumentare la velocità si può solo correre: nelle montagne messicane i
Tarahumaras corrono con i sandali per necessità e per diletto; nelle montagne
himalayane i Lrun Pa, i mitici monaci tibetani, corrono soprattutto di notte da
un monastero all’altro, e si dice siano dotati del potere di accorciare le
distanze effettuando lunghissimi passi senza mai toccare terra. La storia si
confonde con la leggenda ed oggi tutto ciò può essere rivisitato anche in
chiave sportiva grazie agli Skyrunners. La prima traccia di salita rapida verso
una vetta si incontra già nel 1864, quando il percorso da Chamonix alla vetta
del Bianco e ritorno, viene coperto in 16 ore e mezza. Da allora la storia
dell’alpinismo e la storia della corsa riportano numerose altre imprese, le più
importanti delle quali sono riportate nella tabella 1.
Tabella 1: evoluzione delle migliori
prestazioni degli Skyrunners.
Ma quali sono le principali
difficoltà che un atleta incontra quando si accinge ad affrontare queste prove?
In realtà la prestazione sportiva in quota può risultare migliorata o
peggiorata. Le discipline sportive che si giovano di una diminuita densità
dell’aria risulteranno sicuramente migliorate. Tali discipline comprendono
principalmente il ciclismo, i salti, i lanci e la velocità breve in atletica
leggera: in pratica tutti gli sport in cui la velocità pura è determinante ai
fini della prestazione. D’altra parte le discipline sportive nelle quali la
prestazione dipende principalmente dalla massima potenza aerobica dell’atleta
saranno penalizzate. Infatti con l’aumentare della quota la massima potenza
aerobica (cioè il massimo consumo di ossigeno) è progressivamente diminuita,
indipendentemente dalla durata della permanenza in quota. Vale a dire che sia
chi è nato e vive in quota, che chi vi è appena giunto, come chi si è
acclimatato presentano la stessa diminuzione in percentuale della loro massima
potenza aerobica rispetto al livello del mare. Infatti la massima potenza
aerobica dipende dalla pressione parziale dell’ossigeno nell’aria inspirata e
questa dipende dalla pressione atmosferica che, come è noto, diminuisce con
l’aumentare della quota. La diminuzione della massima potenza aerobica può
essere facilmente rilevata analizzando i risultati delle maratone effettuate a
varie altitudini. Ricordo che la maratona è una gara di corsa a piedi su
percorso pianeggiante lungo 42 km e 195m. La prima maratona in quota fu
disputata nel 1968 durante i Giochi Olimpici di Città del Messico e fece
registrare un peggioramento rispetto alla migliore prestazione di allora di
poco meno del 9%. Con gli Skyrunners abbiamo organizzato diverse maratone a
4300 m di quota ed una a 5200 m . Tutte sono state disputate sul terreno
pianeggiante degli altopiani del Tibet e tutte sono state vinte dall’americano
Matt Carpenter (Tabella 2). E’ interessante notare che le migliori prestazioni
alle diverse altitudini indicate nella tabella 2 sono state ottenute da atleti
nati e cresciuti a quote comprese tra 2000 e 3000m.
Tabella 2: migliori prestazioni
sulla maratona a diverse altitudini
I risultati raccolti sugli Skyrunner
che hanno partecipato ad una maratona a livello del mare e alle maratone del
Tibet indicano che, in termini di prestazione, gli atleti meno veloci perdono
di più in quota rispetto ai più veloci. Ad esempio il vincitore evidenzia a
4300m di quota un peggioramento di velocità del 21% rispetto alla velocità del
proprio personale a livello del mare, mentre l’ultimo classificato evidenzia un
peggioramento di velocità circa doppio (+42%). Queste differenze sembrano
dovute alla diversa capacità di sfruttare un’elevata percentuale della massima
potenza aerobica ed al diverso costo del lavoro dei muscoli respiratori in
quota. Un altro limite con il quale gli Skyrunners si confrontano è la velocità
di salita e/o di discesa. Opportunamente allenati questi atleti sono in grado
di esprimere una velocità in salita a quote comprese tra i 2500 ed i 4000 m
attorno ai 1500 m di dislivello per ora, mentre la velocità di discesa può
superare i 2500 m di dislivello per ora, grazie anche alle capacità di
scivolamento sulla neve. I risultati di numerose indagini effettuate sugli
Skyrunners indicano che la corsa a piedi ad altitudini comprese tra 2000 e 5200
m comporta modificazioni fisiologiche simili a quelle che si possono osservare
a livello del mare. Inoltre le gare di corsa in alta quota non sembrano
aumentare il rischio di mal di montagna, a patto che gli atleti siano ben
allenati, acclimatati e siano stati dichiarati idonei dal punto di vista
medico-sportivo.
L’evoluzione delle tecniche di
locomozione, l’evoluzione dei materiali e delle metodiche di allenamento
porteranno probabilmente in tempi brevi, ad un abbattimento dei record finora
stabiliti e ad una migliore definizione dei limite della prestazione umana in
alta quota.
Fonte: InfinityRun
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